Annotazioni su "Protocollo d'intesa per l'area di Gela" sottoscritto presso il MISE in data 6 novembre 2014
L'ennesimo protocollo d'intesa sottoscritto presso il MISE dalla Regione Siciliana, dalle principali
organizzazioni dei sindacati dei lavoratori, da ENI, ecc., si presta a numerosi
rilievi critici.
Con l'Intesa si risponde ad un problema
drammaticamente reale in modo errato e contraddittorio.
Il dato reale su cui tutti dobbiamo ragionare
con grande senso di responsabilità, è rappresentato dalla crisi della
raffinazione in Sicilia e nell'intera Penisola.
Il settore registra in Italia un over capacity
che l'ICC (International Chamber of Commerce) stima in 40 milioni di
tonnellate, che equivalgono al prodotto di quasi 7 raffinerie messe assieme, e
le cui cause profonde -mai abbastanza indagate- sono da ricercare negli
eccessivi investimenti effettuati negli anni '80 in nuova capacità di
raffinazione (si ebbero perfino casi di nuovi impianti mai entrati in
esercizio), nel cambiamento nella disponibilità dei greggi sui mercati
internazionali e nella progressiva sostituzione dell'olio da parte del gas
naturale nella generazione elettrica.
La concorrenza dei competitors del Far East e
dei biocarburanti e la flessione della domanda, ingenerata dalla perdurante
crisi economica, hanno fatto il resto.
Che non si tratti di crisi passeggera lo ricorda
lo studio "Elementi sulla Raffinazione Europea", redatto dal World
Energy Council - Comitato Nazionale Italiano:"… se guardiamo al medio
lungo termine, le prospettive per il settore europeo della raffinazione
sembrano confermare un ridimensionamento del ruolo dei prodotti petroliferi
all’interno dei consumi energetici dell’Unione Europea".
Paradossale e contraddittorio, quindi, che
l'Intesa punti, da un lato, a far fronte alla crisi dello stabilimento di Gela
optando per l'uscita dal settore della raffinazione dell'olio, mentre
dall'altro preveda, al contempo, l'aumento della produzione di idrocarburi
liquidi e, contestualmente, l'incremento della produzione di gas naturale, che
è concorrenziale/sostitutivo al petrolio nel settore della generazione
elettrica.
Volendo ricorrere ad una metafora, è come se il
medico volesse alimentare il male che affligge il paziente e, nel mentre,
aiutarlo a guarire!
Inoltre, la soluzione proposta nell'intesa è
l'ennesimo déjà vù. Ripropone un percorso di "sviluppo" che la
Sicilia e tutti i Sud del Mondo hanno imparato a conoscere, a caro prezzo, nel
corso della loro storia: concessione dello sfruttamento delle risorse e del
territorio alle aziende (prima di Stato ed oggi, nella meno peggiore delle
ipotesi, partecipate dallo Stato) in cambio di progetti di crescita industriale
ed occupazionale che il tempo ha poi condannato al fallimento, lasciando in
eredità nuove povertà, nuova disoccupazione, degrado ambientale, peggioramento
dell'aspettativa di vita, ecc..
Secondo l'Intesa, il mantenimento dei livelli
occupazionali nello stabilimento di Gela, la difesa del know-how delle
maestranze e la rivitalizzazione dell'indotto son tutte cose che passano
attraverso la creazione di un nuovo polo della chimica verde che in Sicilia
dovrebbe il suo punto di forza nella produzione "sostenibile" di
biocarburanti derivati dalla lavorazione dell'olio di palma.
Quanto è sostenibile, in termini economici ed
ambientali, la nuova filiera "green" richiamata nel Protocollo, su
cui si vorrebbe costruire il futuro industriale di Gela?
Sarà sufficiente qui ricordare come l'olio di
palma venga procacciato mediante la pratica selvaggia del "land
grabbing", inglesismo che indica l'accaparramento selvaggio, da parte di
pochi, di terreni agricoli nei Paesi in via di sviluppo, che produce impatti
sulla deforestazione, sulla degradazione del suolo, sugli eco-sistemi e, soprattutto,
sulla sicurezza alimentare delle popolazioni private dei loro terreni agricoli.
Ogni secondo un paese povero vende o dà in
concessione a un investitore privato un’area di terra grande come un campo
da calcio.
Secondo un dettagliato dossier stilato da
Actionaid, l'Italia svolge un ruolo di primo piano nell'accaparramento di
terre, nel settore delle energie rinnovabili, in quello petrolifero e
prevalentemente per biocarburanti, acquistando terre in Africa.
In particolare, secondo l'organizzazione GRAIN.ORG,
ENI ha investito 700 milioni di dollari per avere accesso a 92.000 HA da destinare
alla coltivazione dell'olio di palma (paesi interessati: Congo ed Angola). Si
tratta di una stima per difetto, giacché non sono disponibili i dati relativi
al Mozambico.
Il progetto congolese di ENI punta alla
produzione di 340.000 tonnellate/anno di olio di palma greggio con impatti che
le organizzazioni per i diritti umani hanno definito in perdita di
biodiversità, insicurezza alimentare, deforestazione, malnutrizione, malattie
legate al degrado ambientale, ecc..
Il "land grabbing" all'italiana non
coinvolge soltanto Congo, Angola e Mozambico, ma anche Senegal, Etiopia,
Nigeria, Kenya, Guinea Konakry, Madagascar, Algeria, Benin, Cameroun,
Marocco, Ghana, ecc.. (Fonte: Eni’s investments in tar sands and palm oil
in the Congo Basin).
Con il Protocollo si intende dunque arginare
situazioni di crisi e depauperamento industriale creando nuova povertà e
mettendo in pericolo il diritto al cibo delle popolazioni dei Paesi in via di
sviluppo africani, sconvolgendo gli eco-sistemi e contribuendo al Climate
Change attraverso la deforestazione del Pianeta.
La risposta ai problemi economici del settore
della raffinazione made in Italy e di una parte del nostro profondo Sud si
gioca tutta sulla pelle e sul diritto alla vita del Sud del Mondo? Come può
convivere questo scempio con la tradizione storica e culturale della Sicilia?
Da non sottovalutare inoltre che l’incremento
delle attività di perforazione e quindi di coltivazione, qualora
sciaguratamente dovessero andare in porto, comporterebbe un enorme aumento
esponenziale delle connesse attività di raffinazione, di trattamento reflui
delle cosiddette acque di strato, nonché dei pozzi di stoccaggio. Attività che
se rappresentano da un lato costi notevoli per la compagnia proponente, d’altro
canto rappresentano occasione di enormi profitti sul versante delle attività di
trattamento chimico biologico ed essiccazione, da aggiungere ai fanghi dei
rifiuti speciali provenienti da fuori regione.
In questi
giorni la Regione Basilicata, a seguito di rilevati tassi di radioattività
presenti nei reflui trasportati con autobotti dal COVA (Centro Oli) di Viggiano
presso gli impianti di trattamento di “Tecnoparco” spa di Pisticci Scalo
(profitti giornalieri di 90.000 Euro medi) ha sospeso per un mese, in accordo
con amministrazioni locali e privati, il funzionamento degli impianti, per
consentire all’ARPAB di effettuare le dovute analisi.
Tutti si chiedono dove verranno trasportati i
“rifiuti” speciali derivanti dal ciclo estrattivo (e non solo). La mappa degli
impianti di trattamento non esclude Gela. Il derivato essiccato, inoltre,
alimenta spaventose discariche speciali. Altro che “green energy” per la
Sicilia!
La produzione da piantagioni di “guayule”,
materia prima per ricavare la gomma, comporterebbe per ENI un duplice
vantaggio: evitare di affrontare i necessari costi di bonifica di 5.000 ettari
inquinati, beneficiando dei relativi fondi UE; capitalizzare un’ulteriore quota
di consenso legata alla prospettiva di impiego di … circa cento unità
lavorative. In realtà si tratta di una possibile ulteriore truffa per attrarre
capitali (vedi effetti dell’art. 4 del cd “Destinazione Italia”), nonché di una
palese sottrazione di suolo ad una più credibile pianificazione a gestione
collettiva di un ciclo virtuoso di bonifica/riqualificazione/trasformazione
(della canapa, ad es.) e vendita in circuiti estranei alla combustione.
Ma non è tutto.
Denunciate le contraddizioni dell'accordo e la
sostenibilità farlocca della bio-raffineria che verrà, resta al fondo della
questione il punto che rende l'Intesa particolarmente interessante per ENI: il
notevole potenziale di crescita per le attività estrattive che il territorio
siciliano (off shore compreso) è in grado di assicurare alla stessa ENI ed alle
sue partecipate/controllate.
Ragionando in punta di diritto, non si è lontani
dal vero se si afferma -come noi affermiamo- che talune previsioni dell'accordo
costituiscono una palese violazione della normativa che tutela la libera
concorrenza all'interno dei Paesi della U.E..
Infatti si chiede alla Regione di procedere alla
semplificazione dei procedimenti amministrativi (dunque: di impegnarsi a
modificare la legge regionale n. 14 del 2000), ma si rivendica anche il diritto
di esercitare quelle attività in regime di sostanziale monopolio (o
oligopolio), posto che nel protocollo si legge chiaramente che le attività
petrolifere saranno esercitate direttamente da ENI (o da società riconducibili
ad ENI) ovvero da società aventi la sede legale nel territorio siciliano.
Appare evidente che si è di fronte ad un accordo
restrittivo della concorrenza, come tale vietato dall’Unione europea. D’altra
parte, la direttiva 94/22/CE, che disciplina la materia, prescrive agli Stati
membri di garantire che non vi siano discriminazioni tra le società petrolifere
per quanto riguarda l’accesso alle attività; e dispone che la superficie di
ciascuna area data in concessione debba essere determinata in modo da non
eccedere quanto giustificato dall’esercizio ottimale delle attività medesime
sotto il profilo tecnico ed economico.
Essa chiarisce, inoltre, che “le disposizioni
legislative, regolamentari ed amministrative che conferiscono ad un unico ente
il diritto di ottenere autorizzazioni in un’area geografica specifica, compresa
nel territorio di uno Stato membro, sono abolite dagli Stati membri interessati
prima del 1° gennaio 1997”.
ENI, come qualsiasi altra azienda privata, non è
tenuta a rispondere a nessuno dei criteri di selezione del suo personale e dei
suoi fornitori di beni e servizi, ma non può utilizzare questa sua
discrezionalità come mezzo di scambio con una qualsiasi Pubblica
Amministrazione nell'Unione per ottenere vantaggi particolari o scorciatoie,
seppur nel rispetto formale della legge.
In materia di concorrenza -e non solo- la legge
è uguale per tutti o non è.
Analogamente la Regione Siciliana (e neppure
quella lucana o, prossimamente, anche sarda) non può sottoscrivere intese,
protocolli o accordi che impongano discriminazioni tra soggetti economici in
virtù del loro tasso di italianità, sicilianità, ecc..
Assomineraria ed ENI non possono richiedere che
lo Stato e le amministrazioni territoriali sciolgano "lacci e
lacciuoli" e, contemporaneamente, che lo stesso Stato e la Regione
Siciliana creino corsie ad hoc ad uso e consumo di alcuni e a detrimento di
altri.
A dispetto del nome e di certi imbonitori della
politica nostrana, lo "Sblocca-Italia" non è cosa riservata soltanto
a chi è italiano e per questo lo stesso Mattei, in perenne lotta con le Sette
Sorelle e sostenitore accesso della nazionalizzazione della produzione
elettrica e del settore estrattivo, lo avrebbe osteggiato[1].
.
Piaccia o non piaccia, il Protocollo è dunque
meritevole di censura da parte dell'Anti Trust.
Andando invece a questioni di merito, appare
ridondante -e per tale ragione ci asterremo dal farlo- richiamare quanto già
emerso nel corso nelle numerose audizioni del Coordinamento Nazionale NO TRIV,
svolte negli ultimi anni presso le competenti Commissioni di Camera e Senato.
Del resto, anche nel corso del dibattito
all'interno dell'Assemblea Regionale Siciliana, sono emersi tali e tanti elementi
che avrebbero dovuto indurre il Presidente Crocetta a desistere dal
sottoscrivere sia l'Intesa, sia il successivo addendum, anche in virtù della
mozione approvata a maggioranza dall'A.R.S., che impegna e vincola il Governo
regionale a bloccare l'avanzata delle trivelle in Sicilia.
Il protocollo di intesa risale al 4 Giugno 2014.
Sottoscritto tra regione Siciliana, Assomineraria, EniMed SpA, Edison
Idrocarburi Sicilia Srl, Irminio Srl, ha enfatizzato lo strombazzamento
retorico della necessità di un rilancio degli investimenti in Sicilia che
permettano “l'utilizzo razionale della risorse di gas e petrolio,
intensificando gli strumenti dedicati alla sicurezza e al rispetto
dell'ambiente”. Un investimento complessivo previsto di 2 miliardi 400 milioni
di Euro in 4 anni, ricadute occupazionali stimate intorno alle 7000 unità.
Prevista l'istituzione di un Comitato Paritetico finalizzato per
l'accelerazione degli investimenti e per il monitoraggio delle prescrizioni
ambientali e di sicurezza. Allora Crocetta si affrettò a dichiarare che ''con
questo accordo contribuiamo al rilancio economico della Sicilia, al
miglioramento della situazione finanziaria per effetto dell'incremento delle
entrate relative alle royalties, alla fiscalità e diamo una risposta di tipo
innovativo che rilancia fortemente l'occupazione con un progetto di
investimenti ecosostenibili''
Sappiamo che in Italia alle multinazionali
petrolifere viene garantito un regime normativo favorevole alla riproduzione di
crescenti profitti, visto che non viene intaccato il predominio delle
quote del “dichiarato” estratto, al netto del gettito fiscale e dei costi
estrattivi. Alle articolazioni decentrate dello Stato italiano (regioni e
comuni) spetta il “concesso” 10% sotto forma di royalties (per le estrazioni in
terraferma è applicata un’aliquota di royalties del 10% sulle quantità di
petrolio e gas estratti, mentre per le estrazioni offshore le royalties si
differenziano in due aliquote: 10% sulla quantità di gas naturale estratto e 7%
sul petrolio), oltre al vantaggio che le stesse società hanno sulle franchigie
petrolifere: le prime 50 mila tonnellate di olio prodotte annualmente in mare,
cosi come i primi 80 milioni di metri cubi di gas, sono esenti dal pagamento di
aliquote allo Stato. Con tali vantaggiose condizioni, è aperta alla grande
l’assalto al Canale di Sicilia, dove tre piattaforme posizionate lungo le coste
estraggono già il 62% di tutto il greggio ricavato dai fondali italiani.
L’art. 3 del Protocollo Assomineraria
prevede, quale specifico impegno della Regione Sicilia, di “intraprendere ogni
utile iniziativa di collaborazione e semplificazione amministrativa volta ad
assicurare che nello svolgimento degli iter autorizzativi relativi alle
attività, così come verranno definite dal Comitato Paritetico, vengano
rispettati i tempi procedurali dettati dalle norme vigenti” e “a ripristinare e
mantenere, nel rispetto delle prerogative legislative e della volontà del
Parlamento Siciliano, con particolare riferimento alle royalty, un contesto
normativo stabile, in linea con le vigenti norme statali, tale da assicurare un
ragionevole riferimento che permetta alle imprese del settore di programmare e
portare a termine i Piani Industriali”.
Ma prima di procedere a tale
semplificazione, riguardante la legge 14/2000 è necessario scardinare
alcune incongruenze del sistema amministrativo della stessa e che attualmente
sono operanti. E’ da chiedersi, ad esempio, se L’URIG (Ufficio Regionale per
gli Idrocarburi e la Geotermia) Sicilia si può considerare realmente un
organismo “terzo e indipendente”. In teoria no, perché ha un interesse
economico a concedere le autorizzazioni ( all’art.9, comma 2° della L.R.
n.14/2000) derivante dalle royalties pagate dagli operatori sul petrolio e
sul gas estratti. E contemporaneamente è l’organo di vigilanza nel settore
estrattivo (idrocarburi e geotermia) con le funzioni di polizia giudiziaria ai
sensi dell’art.5 comma 2° del D.P.R.128/59, per tali compiti applica le
procedure di cuiD.lgs.-758/94 (Modificazione alla disciplina sanzionatoria in
materia di lavoro) .
ENI chiede, quindi, alla Regione Sicilia di
“dare piena e immediata attuazione agli impegni assunti.
Ma impegni assunti da chi? Esclusivamente dal
presidente Crocetta, senza aver preliminarmente coinvolto, per richiederne
mandato, l’Assemblea Regionale Siciliana ( organo della Regione che dispone di
personalità giuridica, regolamenti autonomi, un proprio bilancio ed un proprio
personale, distinti da quelli della Giunta regionale). Alla luce di quanto
detto sopra, come si può pretendere che l’Assemblea Regionale Siciliana,
preliminarmente esautorata nella formulazione del protocollo,oggi possa
assumere l’impegno ad “intraprendere ogni utile iniziativa di collaborazione e
semplificazione amministrativa…..”? A maggior ragione l’Assemblea Regionale
Siciliana non può essere chiamata a garantire, “con particolare riferimento
alle royalties, un contesto normativo stabile, in linea con le vigenti norme
statali, tale da assicurare un ragionevole riferimento che permetta alle imprese
del settore di programmare e portare a termine i Piani industriali”
presumibilmente per i prossimi 10-15 anni. … visti i vantaggi
economici conseguenti all’incremento delle produzioni”.
Il Presidente della Regione Crocetta ha
sottoscritto tale protocollo impegnando L’Assemblea Regionale Siciliana,
che è un organo della Regione che, analogamente ad altri organi di
rilevanza costituzionale, dispone di personalità giuridica, di regolamenti
autonomi, di un proprio bilancio ed un proprio personale, distinti da quelli
della Giunta regionale.
In maniera spudorata ed aperta, quanto
ricattatoria, Eni ed Assomineraria hanno costretto le parti contraenti a
modificare ad ulteriore ribasso le previsioni delle royalties, che in giro di
boa in un solo anno sono passate (sotto l’egida politica dello stesso
“governatore”) dal 20% al 13%, per tornare all’allineamento al ribasso, “nel
rispetto delle prerogative legislative e della volontà del Parlamento
Siciliano”, s’intende … delle quote stabilite per tutte le regioni a statuto
ordinario.
Con buona pace della Legge Regionale n 14
del 2000 e … dell’autonomia siciliana, quella stessa autonomia che viene
cancellata per effetto dell'art. 38 della legge di conversione dello
"Sblocca-Italia".
Come già chiarito dal costituzionalista Di
Salvatore, lo "Sblocca - Trivelle" si applica anche alle Regioni a
Statuto Speciale. Infatti: < La ragione per cui lo Sblocca-Italia dovrebbe
dirsi applicabile anche alle Regioni a Statuto speciale è quella posta in luce
dalla Corte costituzionale nel 1991: la realizzazione delle opere e delle
attività contemplate dal decreto risponderebbero ad un interesse nazionale e
per questo esse sarebbero strategiche, di pubblica utilità, indifferibili e
urgenti. La qual cosa legittimerebbe la c.d. “attrazione in sussidiarietà” da
parte dello Stato. D’altra parte, l’art. 38 dello Sblocca-Italia questa volta
lo dice espressamente: il titolo concessorio unico è accordato con decreto del
Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o la provincia
autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata. E il riferimento
a Trento e Bolzano lascia, appunto, intendere che la disciplina del
procedimento trovi applicazione anche alle Regioni a Statuto speciale >.
Ciò premesso, appare doveroso che il Presidente
Crocetta e la Giunta deliberino al più presto di impugnare l'art. 38 della
Legge 164/2014 o che, in caso di loro inerzia, vengano indotti a farlo
dall'Assemblea Regionale Siciliana attraverso lo strumento della risoluzione.
Lo chiede a voce alta la comunità siciliana; lo
esigono i numerosi Comuni che con formali atti deliberativi hanno chiesto alla
Regione di "rappresentarli" in un eventuale contenzioso presso la
Corte Costituzionale. Lo impone, infine, la secolare tradizione culturale della
nostra Regione, incentrata sul rispetto dell'uomo e dell'ambiente, in
contrapposizione allo sfruttamento indiscriminato delle risorse e del
territorio.
[1] Dal discorso pronunciato alla Camera il 26 ottobre 1949: "…
Prima di entrare in dettagli di discussione, vorrei far presente alla Camera
dei Deputati cosa può significare il fatto che l'enorme energia rappresentata
dal metano diventi esclusivo possesso di gestori privati (…). Il sottosuolo
della Pianura Padana deve rimanere allo Stato perché solo allo Stato va il
merito di avere individuato, attraverso una sua azienda, questa enorme
ricchezza patrimonio di tutta la nazione". Mattei non avrebbe mai
potuto immaginare che, cinquant'anni dopo, una delle Sette Sorelle, Shell,
sarebbe stata impegnata nello sfruttamento del sottosuolo lucano in joint
ventures con altre compagnie, tra cui la stessa Eni. Nel suo discorso alla
Camera, Mattei definisce gli idrocarburi e, in particolare, il metano "enorme
ricchezza patrimonio di tutta la nazione". A seguito della
liberalizzazione del settore e con la fine dell'esclusiva di ENI, gli
idrocarburi intrappolati nel sottosuolo della Sicilia sono diventati patrimonio
non più della nazione -e men che meno della Regione- bensì, oltre che di Eni,
anche delle società private straniere Edison (Francia), Panther Eureka Gas
(U.s.a.), Audax Energy (Australia), Northern Petroleum (Gran Bretagna) e Cygam
Energy (Canada).
Tra le società straniere che hanno avanzato
richiesta di cercare o estrarre olio e gas in Sicilia ricordiamo Appenine
Energy (Gran Bretagna) e Mac Oil (Canada).