IL GIP di Barcellona P.G. ha disposto la chiusura della
discarica di Mazzarrà S. Andrea, a causa di numerose irregolarità e reati ipotizzati. Tutti sapevano
che sarebbe successo, il dipartimento Acqua e Rifiuti della Regione Sicilia
prima degli altri. Avrebbero dovuto saperlo anche i sindaci di ben 86 comuni
del messinese che conferiscono lì e per i quali si profila l’ennesima
emergenza, sia finanziaria a causa della lievitazione dei costi, che
igienico-sanitaria per l’allungamento dei tempi di conferimento. Ma, data la
crisi, fiscal compact e patto di stabilità, Pantalone non paga più ed i
cittadini dovranno tirar fuori altri quattrini oltre alla TARI. Tutti sapevano
ma, salvo alcune notevolissime eccezioni, pochi hanno preso misure per prevenire
l’emergenza: è ora di darsi una mossa. Ma c’è di peggio, perché le soluzioni
più banali (l’utilizzo di altri siti) lo saranno ancora per poco, in quanto per
11 delle altre 12 discariche siciliane si ripropone uno dei problemi principali
di quella di Mazzarrà: l’assenza di impianti funzionanti di biostabilizzazione
che per legge (Dlgs 13/01/2003 n° 36,
G.U. 12/03/2003, recepimento della direttiva europea
1999/31/CE “Discariche”) sono obbligatori da 11 anni! Dovrebbero saperlo,
dunque, tutti i sindaci siciliani.
Evitando sterili recriminazioni e senza cercare colpevoli
nel passato, Zero Waste Sicilia ritiene che sia il momento di trovare
soluzioni sostenibili e strutturali, senza farsi dettare l’agenda dall’emergenza
e dal panico, senza farsi tentare dall’idea di bruciare i rifiuti, perché è
solo più costoso, più inquinante e, soprattutto, sciocco.
Il problema principale dei rifiuti è che ne facciamo
troppi e troppo velocemente per la capacità finanziaria ed organizzativa degli
enti preposti alla gestione. Vanno quindi attuate urgentemente, da parte dei
comuni, misure che favoriscano la drastica riduzione dei rifiuti da avviare
allo smaltimento, e queste non devono
limitarsi alla raccolta differenziata, ma puntare alla
rigorosa applicazione del protocollo Rifiuti Zero, come già tante volte la
nostra associazione ha argomentato.
I nostri scarti diventano spazzatura solo nel momento in
cui li mescoliamo: basterebbe tenere separati in casa “umido” (scarti organici,
ed oli esausti, il 33% del totale) e “secco” (plastica, carta, metalli, legno, farmaci,
elettronica, tessili, scarpe, RAEE, suppellettili ingombranti, imballaggi vari,
non meno del 40%) perché la frazione residuale (RUR) scenda sotto il 30%.
Questo a patto che l’organizzazione della raccolta non mescoli gli scarti
successivamente e/o li conferisca comunque in discarica. Per far ciò è
indispensabile che la regione finanzi degli impianti di trattamento dell’umido
(compostaggio) e snellisca le procedure autorizzative per il compostaggio di
comunità (oggi complicate quanto quelle di una centrale nucleare!). I comuni a
loro volta potrebbero da subito attuare meccanismi di incentivazione per il
riuso ed il recupero di tanti scarti ancora funzionanti o riparabili, sia
mediante più allettanti sconti sulla TARI, che praticando consistenti sconti
fiscali agli esercizi che effettivamente partecipino alla RD di umido ed
imballaggi.
Ma soprattutto ciascuno di noi dovrebbe ricordarsi che
ogni piatto di plastica, ogni bicchierino da caffè, ogni prodotto usa e
getta serve a far aumentare di qualche millimetro l’altezza delle colline
della “munnizza”, e ad aumentare i rischi per la salute delle future
generazioni.
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