Il dovere è la libertà

di Maurizio Viroli

Tratto dal capitolo 1 del libro "L'italia dei Doveri" di Maurizio Viroli

Il primo passo per riscoprire il senso del dovere è liberarci dell’idea, tanto diffusa quanto insensata, che mentre i diritti sono libertà, i doveri rappresentano una costrizione. Avere un diritto vuol dire avere la libertà di agire o di non agire in un determinato modo: il diritto di esprimere la propria opinione consiste nella libertà di parlare o di tacere, e nessuna legge ci sanzionerà se decidiamo di zittire; il diritto di associarci consiste nella libertà di associarci o di non associarci e nessuno ci punirà se decidiamo di starcene per i fatti nostri; il diritto di professare la nostra fede religiosa consiste nella libertà di professare o di non professare e nessuno ci imporrà di avere questa o quella fede. Gli esempi potrebbero continuare, ma non c’è ragione di insistere dato che, forse, l’unica convinzione sulla quale tutti concordano, è che maggiore è il numero dei diritti più ampia è la nostra libertà.
     Ma è anche vero che se chi ha diritti non sente il dovere di limitarli con una norma, i diritti svaniscono nel nulla. Lo ha spiegato con particolare chiarezza, Guido Calogero:<<Che diritti mai avrebbero gli altri, se non sentissimo noi il dovere di riconoscerli, limitando per ciò la nostra libertà con una norma? Ma la suprema norma di tutte queste norme è sempre l’incondizionata nostra volontà morale di capire i punti di vista altrui, di metterci nei panni degli altri: dalla quale discendono, com’è chiaro, tutti gli altri essenziali “diritti innati” e principi supremi della vita etico-giuridica […]; e quindi non c’è forma di attivo rispetto verso ogni possibilità di [loro] affermazione nella vita che non risulti implicita in questo nostro radicale dovere>>.
     Ma anche il dovere è libertà. Anzi, per essere precisi, è la vera libertà, quella morale, quella interiore. Sentire un dovere vuol dire ritenere giusto o ingiusto fare o non fare. È la nostra coscienza, non gli altri o lo Stato a considerare giusta una determinata azione, e dunque avvertiamo il dovere di compierla, o ingiusta, e dunque avvertiamo il dovere di astenerci dal compierla.
Il dovere non può essere imposto né comandato, né può essere stimolato con la promessa di un premio o la minaccia di una sanzione. Soltanto noi stessi possiamo imporci un dovere o, per usare un linguaggio più classico, solo la nostra coscienza può comandarci il dovere. Operare per i principi che noi ci siamo dati è la più alta forma di libertà, quella di chi è padrone di se stesso e non obbedisce ad altri che a se stesso. Non siamo liberi nonostante i doveri ma grazie ai doveri.
     Benché siano concetti affini, e siano spesso usati come sinonimi, i doveri sono differenti dagli obblighi. Dobbiamo avere chiara questa distinzione, se vogliamo ritrovare il significato del dovere necessario per una società civile, quello in grado di renderci liberi. Mentre il dovere è un comando della nostra coscienza, l’obbligo è il comando di un’autorità. Detto altrimenti, per i doveri dobbiamo rispondere a noi stessi, e dunque allo voce interiore della coscienza; per gli obblighi dobbiamo rispondere a un’imposizione esterna. Se violiamo un dovere l’unica sanzione in cui incorriamo è quella del rimorso, così come tutta interiore è quella serenità che è premio del dovere compiuto. Se violiamo un obbligo c’è la sanzione, mentre se lo rispettiamo otteniamo, a volte, un premio.  Ma sia la pena che il premio sono questa volta esterni. Chi sente il dovere di insegnare bene prova soddisfazione quando crede in coscienza di averlo assolto mentre avverte insoddisfazione, e in alcuni casi un vero e proprio tormento interiore, quando crede di non averlo fatto; ma chi ha l’obbligo di pagare le tasse e non lo fa incorre nella sanzione dello Stato che tocca non la coscienza ma le proprietà, e, nei casi più gravi, anche la libertà personale.
     Ci sono obblighi che non sono doveri  e doveri che non sono obblighi. Prestare giuramento di fedeltà al fascismo-a cui sarei stato sottoposto anch’io se fossi stato professore universitario nel 1931- sarebbe stato per me non un dovere, ma un obbligo che avrebbe offeso il mio senso del dovere di insegnare in piena libertà. Il dovere di votare  sancito dalla Costituzione non è un imposizione; infatti, non comporta alcuna sanzione penale, ma lo avverto come un dovere che mi impone la mia coscienza di cittadino. Poiché ritengo giusto, e  dunque doveroso, denunciare la corruzione politica, cerco di farlo come posso, anche se nessuna legge me lo impone. In alcuni casi, quindi, obbligo e dovere coincidono. Compiremmo quella determinata azione, o ci asterremmo dal compierla, anche se non ci fosse alcuna autorità a comandarci: nessuna autorità, s’intende, tranne la nostra coscienza.
     Chiarito, almeno nei suoi aspetti generali, che cos’è il dovere e perché dovere e obbligo sono concetti simili ma diversi, è facile intendere che il dovere è il segno distintivo della libertà più preziosa e più difficile da sradicare, quella morale. Anche di fronte a un potere oppressivo o a uomini prepotenti, chi è moralmente libero rimane tale, e dal suo senso del dovere può trarre la forza morale di resistere e di sconfiggere il potere oppressivo. Ma se non ha la libertà interiore non solo non possiede la libertà più alta che consiste nell’essere padroni di se stessi, ma non può neppure difendere o riconquistare i diritti civili e politici. Chi non ha la libertà interiore che proviene dal senso del dovere è una persona banale che obbedisce all’autorità o agli uomini potenti senza nemmeno porsi se è giusto o sbagliato, come Adolf Eichmann e tanti altri come lui che hanno reso possibile il totalitarismo. Questi sono individui interiormente vuoti, senza una propria coscienza, e quindi capaci di farsi complici dei peggiori orrori ma incapaci di avvertire il rimorso. La banalità del male è il segno dell’assenza di libertà interiore.
     La prova più eloquente dell’importanza della libertà interiore è data dai molteplici tentativi, da parte dei regimi totalitari, di inibire le libertà civili, politiche e quella interiore, per dominare non solo le azioni ma anche le coscienze. Ma è vero anche l’inverso, vale a dire che il fascismo si è affermato e consolidato perché gli italiani liberi erano pochi. Lo ha capito perfettamente Carlo Rosselli, quando scrisse nel 1928, che è triste cosa a dirsi, ma non per questo meno vera, che in Italia l’educazione dell’uomo, la formazione della cellula morale base - l’undividuo -, è ancora in gran parte da fare. Difetta nei più, per miseria, indifferenza, secolare rinuncia, il senso geloso e profondo dell’autonomia e della responsabilità. Un servaggio di secoli fa si che l’italiano medio oscilli oggi ancora tra l’abito servile e la rivolta anarchica. Il problema italiano è ancora oggi il medesimo, vale a dire un problema di libertà, come pensava Rosselli, nel suo significato integrale, cioè di autonomia spirituale, di emancipazione della coscienza. E proprio perché il problema della libertà in Italia si pone ancora in questi termini siamo vulnerabili rispetto al fascismo, prodotto dalla mentalità italiana che è in primo luogo caratterizzata dal disprezzo del debole e dalla devozione al capo onnipotente che calpesta limiti e leggi o li piega a proprio vantaggio.
     Sono parole su cui meditare con attenzione, non solo perché Rosselli ci insegna che fin quando gli italiani non sapranno vivere secondo la libertà interiore, le libertà civili e politiche avranno basi fragili, ma anche perché la libertà interiore può essere soltanto il risultato di una faticosa ricerca dell’individuo. Si può dare la libertà civile e politica ad un popolo, ma non quella morale. Quest’ultima può essere conquistata solo dall’individuo, il frutto di un faticoso cammino interiore che ciascuno deve compiere da solo. Gli ebrei diventarono da schiavi un popolo quando liberamente scelsero di vivere secondo la legge di Dio. Ognuno di essi accettò di avere dei doveri, ma solo dopo aver camminato a lungo nel deserto ed essersi liberati della mentalità dello schiavo. Nessuno fu trasportato dall’Egitto alla Terra Promessa; nessuno di loro ricevette da altri la libertà interiore.
     Proprio perché è il frutto di un percorso faticoso e libero, il dovere conferisce all’individuo una particolare dignità. Anche i nemici e gli avversari rispettano la persona che ha il senso del dovere e vive con coerenza rispetto ai principi che ha scelto. Chi lo avvicina avverte la sua ricchezza interiore. I soli che non riconoscono la sua particolare dignità sono i servi che sanno soltanto obbedire e i despoti che sanno solo dominare. I primi lo detestano perché vedono in lui l’esempio di un modo di vivere al quale essi non sanno o non vogliono elevarsi; i secondi lo odiano perché lo considerano, giustamente, un pericoloso nemico che non si lascia né comprare con favori né schiacciare con la forza. Ovviamente la persona che ha senso del dovere non si cura minimamente dell’opinione dei servi e dei despoti. Le basta la stima delle persone oneste e soprattutto l’approvazione della sua coscienza. Grazie alla libertà morale che viene dal dovere sente di possedere una grande ricchezza interiore che le permette di stare bene con se stessa. Considera la propria dignità come un bene inestimabile, e dunque tale che non si può vendere ad alcun prezzo. Per questo è capace, per non perderla, di qualsiasi sacrificio. Il dovere chiede molto perché da molto: chiede sforzo, e perfino sacrificio perché fa si che l’individuo acquisti la dignità di persona.
     L’idea che i diritti sono inseparabili dai doveri, e da questi nobilitati ed elevati, è l’anima dell’individualismo democratico ovvero l’individualismo proprio di una società democratica dove tutti sono cittadini e hanno uguali diritti. Nella sua forma più compiuta l’individualismo democratico è nato e ha messo radici negli Stati Uniti, e ha trovato i suoi teorici e difensori in Ralph Waldo Emerson, Walt Whitman e Henry David Thoereau. Questa concezione dell’individualismo ci insegna che, contrariamente a ciò che si pensa in Italia, è proprio il senso del dovere a fare sì che ognuno di noi possa esprimere se stesso e dunque non sia né passivo, né docile, né come tutti gli altri.
     Il principio fondamentale dell’individualità democratica è la capacità di affermare ed esprimere se stessi, ovvero la consapevolezza che ogni tipo di individualismo comincia con se stesso e con ciò che ognuno intende fare, e che la società democratica tende a incoraggiare e a premiare il conformismo. Essere ed esprimere se stessi, anche in una società democratica, comporta un tratto di resistenza; infatti, per affermare noi stessi dobbiamo spesso contestare il pensiero comune dominante. Al tempo stesso, l’individuo democratico non è insolente perché la sua volontà di esprimere se stesso è accompagnata dal riconoscimento dell’universalità di tale diritto. Il rispetto democratico per gli altri modella e limita l’autoaffermazione e l’autorealizzazione. Il fatto di avere tutti gli stessi diritti impedisce il privilegio e non permette di perseguire l’espressione di noi stessi usando gli altri quali mezzi.
     La realizzazione di ciascun individuo non è una minaccia per gli altri. La collaborazione di molti individui che cercano di realizzare se stessi prende forma di un tripudio di colori in un campo di fiori selvatici. L’individuo democratico vuole essere differente e vuole essere unico, vuole andare per la strada che ha scelto, vuole provare, vagare, lasciarsi andare. Desidera essere lasciato in pace, non vuole essere coinvolto nel gioco di altri, vuole passare inosservato, vuole avere i suoi segreti, essere considerato difficile da definire; preferisce non avere obblighi con altri, essere padrone di se stesso; desidera pensare, giudicare e interpretare da solo; vuole sentirsi vero, non confuso, o sorpreso; desidera vivere senza svolgere per tutta la vita lo stesso ruolo; vuole mettersi alla prova e verificare i propri limiti, accumulare diverse esperienze; aspira a modellare la propria vita ma non in una forma rigida; vuole soprattutto essere se stesso, trovare il suo vero io; in determinati momenti della vita desidera rinascere come se stesso.
     L'individuo democratico vuole realizzare relazioni ricche ed esteticamente belle con gli altri, ma non è né un comunitario, che vive solo per la comunità e nella comunità. Ci sono molti modi di aprirsi agli altri individui, ma ciò che distingue l’individualismo democratico e lo rende migliore delle forme di individualismo che ignorano i doveri, è il suo rifiuto di preoccuparsi soltanto per coloro per i quali è facile farlo: noi stessi, i nostri simili, gli amici, i nostri cari. Al centro dell’individualismo democratico c’è un’interpretazione radicale e laica dell’insegnamento del Vangelo, in particolare la storia del buon Samaritano. Ciascuno deve avere gli stessi diritti. Ciò significa che il primo dovere è di non violare i diritti degli altri, ma è altrettanto importante il dovere di agire, quando i diritti degli altri sono violati. …