Piccolo è bello - Epilogo

Di Ernst Friedrich Schumacher

L’uomo moderno, esaltato dal progredire dei suoi poteri scientifici e tecnici, ha costruito un sistema di produzione che rovina la natura e un tipo di società che mutila l’uomo. Se soltanto ci fosse sempre maggiore ricchezza, qualsiasi altra cosa, si pensa, andrebbe a posto. Si giudica che il denaro abbia tutti i poteri; se non può in concreto compensare i valori non materiali, come giustizia, armonia, bellezza o persino salute, può superare il loro bisogno o compensare per la loro perdita. È così che lo sviluppo della produzione e l’acquisizione di ricchezza sono diventati gli obiettivi primi del mondo moderno, obiettivi in rapporto ai quali ogni altro, qualunque sia in apparenza l’elogio che ancora gli si muove, è diventato di secondo piano. I fini più alti non richiedono alcuna giustificazione; tutti i fini secondari devono da ultimo giustificarsi in termini di servizio che il loro raggiungimento rende all’acquisizione del più alto.
Questa filosofia del materialismo, ed è questa filosofia, o metafisica, che viene adesso sfidata dagli eventi. Non c’è mai stata epoca, in qualsiasi società in qualunque parte del  mondo, senza i propri saggi e maestri che sfidavano il materialismo e proclamavano un ordine di priorità diverso. I linguaggi sono stati differenti, sono variati i simboli, eppure il messaggio è sempre stato il medesimo: <<Tu cerca anzitutto il Regno di Dio, e tutte queste cose (le cose materiali di cui hai pure bisogno) ti saranno date in aggiunta>>. Ci saranno date, si dice, qui sulla Terra dove ne abbiamo bisogno, non solo in un'altra vita al di là della nostra immaginazione. Oggi, però, tale messaggio non ci giunge solo dai saggi e dai santi, ma dal corso concreto degli eventi fisici. Ci parla il linguaggio del terrorismo, del genocidio, del crollo nervoso, dell’inquinamento, dell’esaurimento. Viviamo, così sembra, in un periodo davvero unico di convergenza. Sta diventando chiaro che in quelle sorprendenti parole circa il Regno di Dio non c’è solamente una promessa ma anche una minaccia: la minaccia che <<a meno che tu non persegua come primo traguardo il Regno, quelle altre cose, di cui pure hai bisogno, cesseranno di essere a tua disposizione>>.  Come ha affermato uno scrittore contemporaneo, senza riferimenti a economia e politica ma, tuttavia, con riferimento diretto alle condizioni del mondo moderno: <<Se si può dire che l’uomo collettivamente si ritrae sempre più dalla verità, si può anche affermare che da ogni parte la verità preme sempre più sull’uomo. Si può quasi dire che per essere toccati dalla verità, cosa che nel passato richiedeva una vita di sforzi, tutto quello che si chiede oggi all’uomo è di non ritrarsi indietro. E tuttavia quanto è difficile!>>.
Noi ci allontaniamo dalla verità se crediamo che le forze distruttrici del mondo moderno possano essere poste sotto controllo semplicemente mobilitando ulteriori risorse di ricchezza, educazione, e ricerca per combattere l’inquinamento, per preservare la vita animale, per scoprire nuove fonti di energia e per arrivare ad accordi più effettivi circa la coesistenza pacifica. Non c’è bisogno di sottolineare che ricchezza, educazione, ricerca e molte altre cose sono necessarie per qualsiasi civiltà, ma quel che è più necessario oggi è una revisione dei fini cui questi mezzi dovrebbero portare. E questo implica, sopra ogni altra cosa, lo sviluppo di uno stile di vita che conferisca alle cose materiali il loro proprio posto legittimo, che è secondario e non primario.
La logica della produzione non è né la logica della vita né quella della società. È una piccola e secondaria parte di ambedue. Le forze distruttive che ha liberato non possono essere messe sotto controllo, a meno che non sia messa sotto controllo la stessa logica della produzione, cosicchè  le forze distruttive cessino di avere briglia sciolte. È di scarsa utilità cercare di sopprimere il terrorismo se si continua a giudicare che la produzione di strumenti di morte costituisca un legittimo impiego dei poteri creativi dell’uomo. Né può avere successo la battaglia contro l’inquinamento, se i modelli di produzione e consumo continuano ad essere di una dimensione, di una complessità e un grado di violenza tali, da non essere in armonia, come sta diventando sempre più chiaro, con le leggi dell’universo, cui l’uomo è altrettanto soggetto quanto il resto della creazione. Egualmente, la possibilità di limitare il tasso di esaurimento delle risorse, o di portare armonia nelle relazioni tra coloro che posseggono la ricchezza e potere e coloro che ne sono privi, non esiste finché nessuno si rende conto che è bene ciò che basta ed è male ciò che è superfluo.
È un segno che fa sperare bene il fatto che una qualche presa di coscienza di queste problematiche più profonde stia gradualmente, seppure con eccessiva cautela, trovando persino espressione in alcune dichiarazioni ufficiali e semiufficiali. Una relazione, scritta da un comitato su richiesta del ministero per l’ambiente, parla della necessità di guadagnare tempo perché le società tecnologicamente avanzate abbiano la possibilità <<di rivedere i propri valori e di mutare i propri obiettivi politici>>. È questione di <<scelte etiche>>, dice quel rapporto; <<nessuna quantità di calcoli può da sola fornire le risposte […]. Il fatto che i giovani di tutto il mondo mettano radicalmente in discussione i valori convenzionali, è un sintomo della insoddisfazione sempre più generale con cui vieppiù giudicata la nostra civiltà occidentale>>. L’inquinamento deve essere messo sotto controllo e la popolazione e il consumo di risorse del genere umano devono essere guidati verso un equilibrio permanente e sostenibile. <<Se non sarà fatto così, prima o poi, e alcuni giudicano che sia rimasto poco tempo, il controllo della civiltà non sarà più questione di fantascienza. Sarà l'esperienza dei nostri figli e nipoti.>>.
Ma cosa si può fare? Quali sono le <<scelte etiche>>? È solo questione, come anche suggerisce quella relazione, di decidere <<quanto siamo disposti a pagare per un ambiente pulito>>? L’umanità ha senza dubbio una certa libertà di scelta: non è prigioniera di tendenze, della logica della produzione o di ogni altra logica frammentaria. Ma è prigioniera della verità. La libertà perfetta consiste solo nel servizio della verità, e anche coloro i quali oggi ci chiedono di <<liberare la nostra immaginazione dalla schiavitù del sistema vigente>> non riescono a indicare la via verso il riconoscimento della verità.
Non è molto probabile che l’uomo del XX secolo sia chiamato a scoprire verità che non siano mai state scoperte prima. Nella tradizione cristiana, come in tutte le vere tradizioni dell’umanità. La verità è stata fissata in termini religiosi, un linguaggio che è diventato pressoché incomprensibile alla maggioranza degli uomini moderni. Tale linguaggio può essere rivisto, e ci sono scrittori contemporanei che l’hanno fatto, lasciando tuttavia inviolata la verità. Nel contesto dell’intera tradizione cristiana, non c’è forse corpo dottrinale che sia più rilevante e appropriato alla pericolosa situazione moderna delle dottrine meravigliosamente sottili e realistiche delle quattro virtù cardinali: prudentia, iustitia, fortitudo, e temperantia.
Il vero significato di prudentia, non per nulla definita la madre di tutte le virtù, prudentia dicitur genitrix vitutum, non è conferito dalla parola <<prudenza>>, come la si usa correttamente. Significa l’opposto di un atteggiamento verso la vita piccolo, mediocre, calcolatore, che rifiuti di vedere e valutare qualsiasi cosa la quale non riesca a promettere un immediato vantaggio utilitario.
<<La preminenza della prudenza significa che la realizzazione del bene presuppone la conoscenza della realtà. Solo colui che sa come sono le cose e quale sia la loro situazione può far bene. La supremazia della prudenza significa che le cosiddette buone intenzioni e il voler fare tutto per bene non sono assolutamente sufficienti. La realizzazione del bene presuppone che le nostre azioni siano appropriate alla situazione reale, cioè alle realtà concrete che formano l’<<ambiente>> di una azione umana concreta; e che di conseguenza noi si prenda seriamente codesta concreta realtà, con obiettività chiaroveggente.>>
Questa obiettività chiaroveggente, tuttavia, non la si può acquisire e la prudenza non potrà essere perfezionata tranne che con un atteggiamento di contemplazione silenziosa della realtà, durante la quale gli interessi egocentrici dell’uomo siano ridotti al silenzio almeno temporaneamente.
Solo sulle fondamenta di questo genere magnanimo di prudenza noi possiamo conquistare giustizia, forza e temperanza, che significa capire quando si ha ciò che basta. <<La prudenza implica una trasformazione della conoscenza della verità in decisioni che corrispondono alla realtà.>> Che cosa, quindi, potrebbe essere oggi di maggiore importanza dello studio e coltivazione della prudenza, che pressoché inevitabilmente porterebbe a una reale comprensione delle altre virtù cardinali, che sono tutte indispensabili per la sopravvivenza della civiltà?
La giustizia porta alla verità, la forza alla bontà, la temperanza la bellezza; mentre la prudenza, in un certo senso, le comprende tutte e tre. Il tipo di realismo che si comporta come se il buono, il vero e il bello fossero troppo incerti e soggettivi per essere adottati come i fini più alti della vita sociale o individuale, oppure fossero lo spunto automatico del perseguire con successo ricchezza e potere, è stato giustamente definito <<realismo insensato>>. In tutto il mondo la gente domanda: <<Che cosa posso veramente fare?>>. La risposta è tanto semplice quanto sconcertante: noi possiamo ognuno di noi può, lavorare per mettere ordine nella nostra casa più interna, la guida di cui abbiamo bisogno per questo lavoro non può essere reperita nella scienza o nella tecnologia, il cui valore dipende in gran parte dai fini che servono; ma può essere ancora trovata nella saggezza tradizionale dell’umanità.

Tratto dal capitolo Epilogo del libro “Piccolo è bello” di Ernst Friedrich Schumacher