giovedì 16 febbraio 2012

Partecipazione è

di Rita Borsellino

Partecipare è prima di tutto un sentimento, un’emozione, quasi una necessità. Partecipo a qualcosa o di qualcosa se mi sento profondamente coinvolta, se non posso fare a meno di starci dentro, se mi accorgo che se non ci fossi non sarebbe la stessa cosa.
Esistono spazi e tempi della partecipazione nella vita di ciascuno; per me tutto inizia consapevolmente dopo la morte di Paolo, dopo quel 19 luglio 1992 che rompe il guscio nel quale mi ero volontariamente chiusa per proteggermi da un mondo che non mi piaceva e del quale, appunto, non volevo in nessun modo sentirmi parte! Ma il rifiuto e l’indifferenza nei confronti del mondo esterno producono il nulla e impoveriscono la vita.

Il cittadino è tale solo se fa sua la vita della polis, se s’interessa, se sta con, non se sta solo. Tenersi a distanza e guardare all’esterno non serve molto. Incontrare gli altri in uno spazio comune e riconoscerlo come pubblico, condividerne la responsabilità, imparare a comprendere e a sentire le riflessioni è invece l’inizio del cambiamento.
Con il 19 luglio 1992 mi trovo coinvolta in una storia più grande e non posso tirarmene fuori perché la mia vita diventa un continuo esercizio di partecipazione. Credo che la partecipazione debba essere il filo conduttore dell’impegno, a qualsiasi livello, perché non può esserci impegno senza partecipazione, non può esserci modo di cambiare la realtà senza il prendere a cuore, il prendersi cura, senza essere parte. È una spinta verso il futuro, una tensione verso qualcosa di più grande; se vogliamo è un atto d’amore. Oggi più che mai credo davvero che come dice Gaber “Libertà è partecipazione!”.
[…]
Io credo che oggi, più che in qualunque altro momento storico, la partecipazione sia l’unico modo per riconciliarci e riconciliare alla politica i tanti che se ne sono allontanati e vi hanno perso fiducia, riscoprendo e facendo riscoprire l’impegno per il bene comune come l’unica strada percorribile verso un cambiamento reale e duraturo.

Tratto da “Il manuale del buon amministratore locale” di S.Amura e S. Stornone – Edizioni Altreconomia

Il tentativo di coinvolgere i cittadini di Santa Teresa per attivare un vero cambiamento nella nostra cittadina partendo dal basso non ha trovato terreno fertile. I guasti di una politica marcia, fatta di personalismi, favori, interessi di parte, clientelismo, nepotismo, hanno desertificato il senso di appartenenza alla comunità. Esistono tante realtà positive sul territorio ma ognuna di queste rimane chiusa nel proprio guscio. Occorre, prima di tutto, un lavoro di rigenerazione del tessuto sociale e democratico. Rigenerazione che non può che partire dalla società civile, dalle persone di buona volontà. Occorre investire sui giovani, educarli alla verità e alla liberta, alla giustizia e alla pace e, soprattutto, alla responsabilità.

La partecipazione cambia il concetto di governo del territorio. È un emanciparsi dalla sudditanza e un riappropriarsi delle proprie funzioni di cittadinanza. Non essere più  in balia  di una classe politica degenerata e incapace di rinnovarsi e aprirsi all’esterno, impegnata solo a riaffermare se stessa, ma un processo orizzontale di partecipazione, fondato sulla consapevolezza  che il sapere proviene dalla cittadinanza, la quale, molto spesso, oltre a conoscere i problemi è capace di prospettare soluzioni. Il livello locale  di governo rimane l’unico spazio entro cui i cittadini possono partecipare alla costruzione del proprio futuro. Rinuncia e indifferenza producono il nulla e impoveriscono la vita

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