Partecipare
è prima di tutto un sentimento, un’emozione, quasi una necessità. Partecipo a
qualcosa o di qualcosa se mi sento profondamente coinvolta, se non posso fare a
meno di starci dentro, se mi accorgo che se non ci fossi non sarebbe la stessa
cosa.
Esistono
spazi e tempi della partecipazione nella vita di ciascuno; per me tutto inizia
consapevolmente dopo la morte di Paolo, dopo quel 19 luglio 1992 che rompe il
guscio nel quale mi ero volontariamente chiusa per proteggermi da un mondo che
non mi piaceva e del quale, appunto, non volevo in nessun modo sentirmi parte!
Ma il rifiuto e l’indifferenza nei confronti del mondo esterno producono il
nulla e impoveriscono la vita.
Il
cittadino è tale solo se fa sua la vita della polis, se s’interessa, se sta
con, non se sta solo. Tenersi a distanza e guardare all’esterno non serve
molto. Incontrare gli altri in uno spazio comune e riconoscerlo come pubblico,
condividerne la responsabilità, imparare a comprendere e a sentire le
riflessioni è invece l’inizio del cambiamento.
Con
il 19 luglio 1992 mi
trovo coinvolta in una storia più grande e non posso tirarmene fuori perché la
mia vita diventa un continuo esercizio di partecipazione. Credo che la
partecipazione debba essere il filo conduttore dell’impegno, a qualsiasi
livello, perché non può esserci impegno senza partecipazione, non può esserci
modo di cambiare la realtà senza il prendere a cuore, il prendersi cura, senza
essere parte. È una spinta verso il futuro, una tensione verso qualcosa di più
grande; se vogliamo è un atto d’amore. Oggi più che mai credo davvero che come
dice Gaber “Libertà è partecipazione!”.
[…]
Io
credo che oggi, più che in qualunque altro momento storico, la partecipazione
sia l’unico modo per riconciliarci e riconciliare alla politica i tanti che se
ne sono allontanati e vi hanno perso fiducia, riscoprendo e facendo riscoprire
l’impegno per il bene comune come l’unica strada percorribile verso un
cambiamento reale e duraturo.
Tratto da “Il manuale del buon amministratore locale” di S.Amura
e S. Stornone – Edizioni Altreconomia
Il tentativo di coinvolgere i
cittadini di Santa Teresa per attivare un vero cambiamento nella nostra
cittadina partendo dal basso non ha trovato terreno fertile. I guasti di una
politica marcia, fatta di personalismi, favori, interessi di parte, clientelismo,
nepotismo, hanno desertificato il senso di appartenenza alla comunità. Esistono
tante realtà positive sul territorio ma ognuna di queste rimane chiusa nel
proprio guscio. Occorre, prima di tutto, un lavoro di rigenerazione del tessuto
sociale e democratico. Rigenerazione che non può che partire dalla società
civile, dalle persone di buona volontà. Occorre investire sui giovani, educarli
alla verità e alla liberta, alla giustizia e alla pace e, soprattutto, alla
responsabilità.
La partecipazione cambia il
concetto di governo del territorio. È un emanciparsi dalla sudditanza e un riappropriarsi
delle proprie funzioni di cittadinanza. Non essere più in balia di una classe politica degenerata e incapace
di rinnovarsi e aprirsi all’esterno, impegnata solo a riaffermare se stessa, ma
un processo orizzontale di partecipazione, fondato sulla consapevolezza che il sapere proviene dalla cittadinanza, la
quale, molto spesso, oltre a conoscere i problemi è capace di prospettare soluzioni.
Il livello locale di governo rimane l’unico
spazio entro cui i cittadini possono partecipare alla costruzione del proprio
futuro. Rinuncia e indifferenza producono
il nulla e impoveriscono la vita
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