mercoledì 29 febbraio 2012

Politici senza decoro ...


paese nel degrado.

Amare e curare la propria cittadina è un dovere di chi fa politica, di chi amministra e di tutti i cittadini.

Sembra invece, camminando per le strade di Santa Teresa, che amministratori e classe politica locale siano assuefatti al degrado e non vedano lo stato pietoso e vergognoso, in cui è tenuta la nostra cittadina da anni, anzi da decenni.
Possiamo stare certi che nessuna “Autorità” si assumerà la responsabilità di questo degrado. È sempre colpa di qualcun’altro: dei predecessori, dell’AtoMe4 cui è stato delegato il servizio di pulizia e dei cittadini che sono incivili.
E come spesso succede, non sentirsi responsabile vuol dire: disinteressarsi del problema; aspettare che siano gli altri a fare (vorrei sapere chi ?); non vedere o far finta di non vedere; non esigere che gli impegni sottoscritti dall’ente che gestisce la pulizia delle strade vengano rispettati;  non denunciare chi causa il degrado; non intervenire mettendo in campo tutte quelle azioni necessarie per correggere le cose e ristabilire decoro e dignità al paese.

Vi chiedo, ma se non siete capaci a fare il vostro lavoro di amministratori o se, nonostante i vostri sforzi, non ottenete risultati significativi, perché non ve ne andate via? Perché non vi dimettete?. Nessuno vi obbliga a fare politica e ad amministrare. Tornate al lavoro che sapete fare, quello per cui avete studiato e avete preso la laurea o il diploma.
Per mettersi al servizio dei cittadini, ci vogliono altri requisiti che voi non avete o  non avete ancora dimostrato di avere.

Noi cittadini saremo pure incivili, ma questa inciviltà è provocata dallo scarso esempio che date voi, dalla scarsa considerazione che i cittadini hanno di voi, dalla vostra inadeguatezza.
Ma è mai possibile che nessuno, politico o amministratore, abbia mai sentito la necessità di affrontare il problema, di sviscerarlo e portarlo all’attenzione della cittadinanza. E non vi è mai venuto in mente di lavorare per la riqualificazione della nostra cittadina per renderla più bella, più vivibile, più accogliente per tutti: cittadini,  visitatori e i turisti.
Ma come si fa a non capire che il decoro di un paese non può avvenire per virtù dello Spirito Santo. Dovreste essere voi politici e amministratori ad attivarvi per una maggiore cura del tessuto urbano attraverso una pluralità di azioni volte a combattere, incuria, degrado, scarsa pulizia e tutto il resto.

Nessun problema si risolve facendo finta che non esista. Tutto può essere aggiustato e corretto. Basta fare quello per cui si è stati eletti. Mettere in atto soluzioni  efficaci e di buon senso. Se proprio non avete idea di dove cominciare … leggete qui

giovedì 23 febbraio 2012

Rifiuti. A Santa Teresa e non solo ...

i politici si riciclano, i rifiuti finiscono in discarica.
E invece, dovrebbe essere il contrario. La soluzione di entrambi i problemi è nelle nostre mani. Noi cittadini possiamo fare molto. Abbiamo un grande potere che quasi mai sfruttiamo. Possiamo licenziare questa classe politica. Possiamo democraticamente stimolarla, fare sentire la nostra forza. Possiamo farli uscire dal letargo. Suonare la sveglia.

Per fare questo dobbiamo essere parte integrante e attiva del tessuto sociale, come semplici cittadini o attraverso gruppi ed associazioni, e prendere parte (partecipare) alle iniziative che animano la vita sociale della nostra cittadina. Noi cittadini se ci organizziamo possiamo dare sostanza a idee e progetti per ridare vita e sostenibilità al nostro territorio.

Riguardo al problema dei rifiuti non possiamo più tollerare l’inerzia delle Amministrazioni comunali. Dobbiamo attivarci. Dobbiamo esigere l’applicazione e il rispetto di tutte le norme europee, nazionali e regionali sui rifiuti.

È necessario che Sindaci, Assessori e Consiglieri comunali, invece di parlare di promesse di cambiamento, si attivino per applicare quanto nelle competenze dei comuni per attuare una corretta gestione del ciclo dei rifiuti. I Comuni devono agire tutti insieme, a livello comprensoriale, e con un processo partecipato che includa i cittadini. Noi cittadini dobbiamo essere informati e partecipi, avere consapevolezza del problema e delle soluzioni da adottare.

È vergognoso, oltre che "fuorilegge", che più del 90% dei rifiuti solidi urbani finisca in discarica con un alto costo economico e ambientale. Sono anni che va avanti quest’andazzo. E, poco o niente è stato fatto. L’attuale raccolta differenziata stradale è stata fallimentare. Non vengono rispettati gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dagli obblighi di legge; e la Comunità Europea può sanzionare il mancato raggiungimento delle quote con un ulteriore aggravio dei costi per le famiglie.

Non possiamo e non dobbiamo rimanere passivi. Visto che i nostri rappresentanti sono restii ad affrontare il problema o si muovono in ordine sparso, senza alcuna concertazione e pianificazione,  dobbiamo essere noi e far sentire alta la nostra voce.

Invito tutti a farsi promotori della RACCOLTA DELLE FIRME per sostenere  l‘APPELLO POPOLARE promosso dal COMITATOJONICO BENI COMUNI che a breve sarà consegnato a tutti gli amministratori dell’Unione dei Comuni delle Valli joniche e dei Peloritani. La raccolta firme si effettuerà in tutti i Comuni del nostro comprensorio.

Con l’appello (petizione) popolare si chiede:

  • Una gestione comprensoriale del ciclo dei rifiuti partecipata e condivisa dai cittadini
  • La prevenzione del rifiuto - La prevenzione dei rifiuti consiste in un insieme di politiche volte a disincentivare, penalizzare economicamente o addirittura vietare la produzione di materiali e manufatti a ciclo di vita molto breve e destinati a diventare rifiuti senza possibilità di riuso.
  • Una corretta gestione del ciclo dei rifiuti che contempli la raccolta differenziata porta a porta inclusiva della frazione umida e il traguardo “rifiuti zero”-
  • Di educare, attraverso una informazione adeguata, i cittadini ad una corretta separazione dei materiali, per evitare conferimenti impropri e permettere l’applicazione di una tariffa puntuale da calcolare in relazione alla effettiva produzione delle singole famiglie.
  • Di dotare il nostro territorio di un adeguato impianto di compostaggio.

martedì 21 febbraio 2012

Siamo troppo giovani ...

o siete troppo vecchi?

È quanto si chiede Danilo Lo Giudice che ha aperto un gruppo su Facebook per stimolare un dibattito incentrato sull’età degli attori politici in vista delle elezioni a Santa Teresa.

Quello dell’età è un falso problema, secondo me. Lo dice uno che ha indirizzato una lettera aperta ai giovani che apriva dicendo “Ragazzi, tocca a voi!” . Io consiglio a Danilo di cambiare il tema del dibattito.  

Non è una questione di essere troppo giovani o troppo vecchi. È una questione di capire perché si fa politica e con quali scopi? Per cosa ci si batte? Quali sono le cose da correggere e come? Quali sono le proposte che si fanno per migliorare il paese e perché? Cosa fare per informare puntualmente i cittadini e costringere gli amministratori ad essere totalmente trasparenti? Quale sviluppo per Santa Teresa? Di questo bisogna dibattere, discutere e confrontarsi. Come migliorare la macchina amministrativa; come fermare il consumo del territorio (la cementificazione); come creare reti di autonomia solidale, come promuovere lo sviluppo auto-sostenibile con la promozione di economie locali che valorizzino i beni territoriali e ambientali comuni; come migliorare la qualità dei servizi pubblici; come garantire il diritto allo studio e alla formazione; come migliorare le politiche sociali, come sfruttare l’innovazione tecnologica, come avviare una politica integrata dei rifiuti per raggiungere l’obiettivo della strategia “rifiuti zero”; come sviluppare politiche di recupero e riutilizzo in modo che il territorio non sia più una merce da svendere ma un bene da valorizzare, conservare e preservare; come incentivare e valorizzare un modello di turismo sostenibile; come coinvolgere la cittadinanza; come creare dibattito e consenso su scelte strategiche e radicali; come creare  spirito di comunità,  fatto di relazioni che si instaurano, di incontri, di confronti, di porte che si aprono. Senza dialogo, convivialità, condivisione di spazi, di tempo, di obiettivi non è vera politica.
la lista potrebbe continuare …

lunedì 20 febbraio 2012

Le primarie a Santa Teresa ...


ammesso che si facciano, non cambieranno nulla!
“La scelta della leadership è un aspetto importante ma è secondario rispetto alla definizione degli strumenti da adottare per realizzare la buona politica e la buona amministrazione nel nostro Comune.
Senza il supporto dei cittadini (per supporto non intendo il codazzo di fan entusiasti e questuanti ma un concreto e collaborativo impegno dei cittadini), senza la giusta umiltà, senza la consapevolezza di svolgere un ruolo di servizio verso i cittadini, senza autorevolezza morale e senza la stima dei cittadini il migliore di noi fallirebbe. Il Sindaco deve essere l’esecutore scrupoloso della volontà dei cittadini. Volontà espressa nella elaborazione del programma della coalizione o della lista. Non ci serve un sindaco padre padrone, non ci serve uno che in virtù dell’elezione diventa unto dal Signore e miracolato da scienza infusa. Ci serve uno che faccia il suo dovere, che esegua, che si attivi, che sia leale verso tutti i cittadini. Egli deve essere il Sindaco di tutti, senza alcuna distinzione.
Fare il Sindaco vuol dire occuparsi quotidianamente dei problemi del paese, dei problemi delle persone. Vuol dire mettere in atto tutte le scelte e soluzioni per cui i cittadini hanno dato il mandato. Non vogliamo promesse che non possono essere mantenute. Non vogliamo promesse. Vogliamo fatti, azioni, concertazione, una politica del passo dopo passo sino al raggiungimento degli obiettivi.
Dunque, la prima cosa che bisogna fare è chiedere la partecipazione dei cittadini, non per scegliere l’eletto ma le cose da fare, per trovare soluzioni quanto più semplici e condivise possibile. Bisogna sentire e recepire le proposte ragionevoli e credibili dei cittadini, sentire i loro bisogni, le loro priorità. Cogliere ogni loro sollecitazione, sviluppare un dialogo basato su informazioni concrete e precise. Dare al cittadino la possibilità di poter decidere insieme con gli amministratori sulle scelte che incidono sulla loro vita.  
Non potremo cambiare il nostro paese solo cambiando gli uomini che ci rappresentano, ammesso che si riesca a cambiarli. Dobbiamo cambiare noi stessi, cambiare mentalità, abitudini, acquisire lo status di cittadini.
Se continuiamo a considerare chi ci rappresenta uno che ci può elargire un favore o un benefit piuttosto che uno che deve lealmente servirci ottemperando a tutte le funzioni e prerogative di legge, stiamo freschi. Le primarie non serviranno a niente.
Dobbiamo fare in modo che chiunque venga eletto sia costantemente tenuto sotto osservazione dai cittadini. Messo sotto una lente di ingrandimento, in modo che il suo operato e quello dei suoi collaboratori sia visibile e giudicabile da tutti, giorno dopo giorno.
Io, apprezzo le primarie, ma non voglio essere semplicemente un elettore che sceglie tra opzioni decise da altri o calate dall’alto. Io, come qualunque altro cittadino, voglio essere considerato una risorsa per il mio paese, voglio avere la possibilità di mettere le mie idee e il mio sapere, piccolo o grande che sia, al servizio di tutta la comunità. Questo è il dovere di ogni cittadino. Io voglio confrontarmi, aprire i miei orizzonti, nutrirmi della sapienza degli altri, scegliere consapevolmente.”

Sopra ho riportato il mio commento al post di Andrea Ricciardi scritto su Facebook nel gruppo “Cantiere idee per S. Teresa” quando i Giovani Democratici hanno lanciato la proposta delle primarie per scegliere il leader della loro coalizione per le prossime elezioni comunali. Coalizione, ancora da costruire, che sfiderà insieme ad eventuali altre liste, la coalizione (da ricostruire a causa delle molte defezioni subite) guidata dall’attuale sindaco Alberto Morabito .  Si perpetua il solito teatrino di politici e politicanti che vanno e vengono, ritornano  per poi andarsene nuovamente, e così via. E, lo ammettono pure … per loro sono tutti validi e preparati … uno vale l’altro … “Franza o Spagna basta che se magna!”. L’unico problema è centrare la lista che ha maggiore chance di vincere anche perché i giochi di potere più importanti  si decidono a Messina, e, qualcuno potrebbe essere colto alla sprovvista visto che tutto si decide all’ultimo momento.

Anche se giudico l’istituto delle primarie positivamente, fatte per dover scegliere tra Carmelo Lenzo, Pippo Lombardo, Carlo Lo Schiavo e Nino Bartolotta o chi per lui,  sono inutili. Chiunque di loro venisse scelto, ammesso riuscisse a vincere le elezioni, non cambierebbe nulla: sarebbe solo un ritorno di una faccia già vista. Le stesse logiche, le stesse persone, cosa può cambiare? E, se venisse riconfermato a sindaco (per castigo di Dio)  Alberto Morabito, dovremmo prepararci nel volgere di breve tempo a nuove elezioni?
Naturalmente, do per scontato che  tutte le persone che ho nominato e anche quelle non nominate siano oneste, brave e buone. E, appunto per questo, mi permetto di rivolgere loro un accorato appello.

Noi cittadini apprezziamo la vostra abnegazione, il vostro spirito di servizio. Sono tanti anni che vi prodigate per il bene della nostra cittadina (e sappiamo che non è tutta colpa vostra se non siete riusciti nell’intento di migliorare le cose…). Tuttavia, per la buona volontà che avete dimostrato vi meritate il giusto  riposo, non dico un pre-pensionamento ma almeno una aspettativa, una pausa di riflessione, una vacanza. Vi ricordo che siamo tutti utili ma nessuno è indispensabile. Dedicatevi finalmente ai vostri hobbies e, se proprio non potete fare a meno di sacrificarvi, di essere a servizio dei cittadini, iscrivetevi a qualche associazione di volontariato e aiutate i più deboli e bisognosi. Rimarrete sbalorditi dalla soddisfazione che proverete per esservi finalmente resi utili a qualcuno per puro altruismo (senza tornaconto).
Perché se non vi tirate indietro voi, i nostri cari concittadini vi continueranno a votare. Ribellatevi a questo. Fate un gesto nobile, almeno una volta. Lo so, avete 400-600 voti a testa, vi siete già prodigati per venire incontro alle esigenze di tanti vostri amici … tuttavia non sta bene chiedere sempre il voto ad ogni elezione per un favore che avete fatto in passato o per uno che potreste fare in futuro. Liberate queste povere persone dal dovere di dovervi dare il voto. Affrancateli dalla sudditanza. Pensateci, riflettete … che bel gesto sarebbe se rinunciaste ad avere incarichi o a candidature. Liberate i vostri elettori e libererete voi stessi!
Vi prometto il mio impegno per farvi avere un riconoscimento tangibile mentre siete ancora in vita e che rimarrà a futura memoria. Nella piazza del paese metteremo un vostro mezzobusto o una vostra effigie con tanto di targa: “... rinunciò a fare il sindaco per il bene del suo paese: i concittadini ringraziano”.


giovedì 16 febbraio 2012

Partecipazione è

di Rita Borsellino

Partecipare è prima di tutto un sentimento, un’emozione, quasi una necessità. Partecipo a qualcosa o di qualcosa se mi sento profondamente coinvolta, se non posso fare a meno di starci dentro, se mi accorgo che se non ci fossi non sarebbe la stessa cosa.
Esistono spazi e tempi della partecipazione nella vita di ciascuno; per me tutto inizia consapevolmente dopo la morte di Paolo, dopo quel 19 luglio 1992 che rompe il guscio nel quale mi ero volontariamente chiusa per proteggermi da un mondo che non mi piaceva e del quale, appunto, non volevo in nessun modo sentirmi parte! Ma il rifiuto e l’indifferenza nei confronti del mondo esterno producono il nulla e impoveriscono la vita.

Il cittadino è tale solo se fa sua la vita della polis, se s’interessa, se sta con, non se sta solo. Tenersi a distanza e guardare all’esterno non serve molto. Incontrare gli altri in uno spazio comune e riconoscerlo come pubblico, condividerne la responsabilità, imparare a comprendere e a sentire le riflessioni è invece l’inizio del cambiamento.
Con il 19 luglio 1992 mi trovo coinvolta in una storia più grande e non posso tirarmene fuori perché la mia vita diventa un continuo esercizio di partecipazione. Credo che la partecipazione debba essere il filo conduttore dell’impegno, a qualsiasi livello, perché non può esserci impegno senza partecipazione, non può esserci modo di cambiare la realtà senza il prendere a cuore, il prendersi cura, senza essere parte. È una spinta verso il futuro, una tensione verso qualcosa di più grande; se vogliamo è un atto d’amore. Oggi più che mai credo davvero che come dice Gaber “Libertà è partecipazione!”.
[…]
Io credo che oggi, più che in qualunque altro momento storico, la partecipazione sia l’unico modo per riconciliarci e riconciliare alla politica i tanti che se ne sono allontanati e vi hanno perso fiducia, riscoprendo e facendo riscoprire l’impegno per il bene comune come l’unica strada percorribile verso un cambiamento reale e duraturo.

Tratto da “Il manuale del buon amministratore locale” di S.Amura e S. Stornone – Edizioni Altreconomia

Il tentativo di coinvolgere i cittadini di Santa Teresa per attivare un vero cambiamento nella nostra cittadina partendo dal basso non ha trovato terreno fertile. I guasti di una politica marcia, fatta di personalismi, favori, interessi di parte, clientelismo, nepotismo, hanno desertificato il senso di appartenenza alla comunità. Esistono tante realtà positive sul territorio ma ognuna di queste rimane chiusa nel proprio guscio. Occorre, prima di tutto, un lavoro di rigenerazione del tessuto sociale e democratico. Rigenerazione che non può che partire dalla società civile, dalle persone di buona volontà. Occorre investire sui giovani, educarli alla verità e alla liberta, alla giustizia e alla pace e, soprattutto, alla responsabilità.

La partecipazione cambia il concetto di governo del territorio. È un emanciparsi dalla sudditanza e un riappropriarsi delle proprie funzioni di cittadinanza. Non essere più  in balia  di una classe politica degenerata e incapace di rinnovarsi e aprirsi all’esterno, impegnata solo a riaffermare se stessa, ma un processo orizzontale di partecipazione, fondato sulla consapevolezza  che il sapere proviene dalla cittadinanza, la quale, molto spesso, oltre a conoscere i problemi è capace di prospettare soluzioni. Il livello locale  di governo rimane l’unico spazio entro cui i cittadini possono partecipare alla costruzione del proprio futuro. Rinuncia e indifferenza producono il nulla e impoveriscono la vita

lunedì 13 febbraio 2012

Educare i giovani alla giustizia e alla pace ...

con l'esempio

Prima dei giovani bisognerebbe educare gli adulti, i genitori, gli insegnanti, tutti quelli che devono dare l’esempio. L’esempio educa più delle parole.
Educare alla verità e alla libertà  e poi ancora alla giustizia, alla pace e alla legalità  costituisce un impegno ed un dovere per tutta la comunità civile dai politici agli operatori dell’informazione, dai genitori agli educatori, poiché la libertà e la verità sono le fonti primarie dei valori dalle quali scaturiscono diritti e doveri.
Educare alla  libertà significa rompere le  catene dei condizionamenti sociali ed economici,  dell’oppressione ideologica che mortifica il  pensiero.
L’uso della libertà è dunque centrale nella promozione della giustizia e della pace,  fondata sul  rispetto per se stessi e per l’altro,  proiettata verso il bene comune,  alimentata da una generosa carità che si fa dono,  attenzione ed  apertura  verso gli altri.

mercoledì 8 febbraio 2012

Rivendicare i diritti

di Goffredo Fofi

[…] Se si è cittadini che pagano doverosamente le imposte, che non speculano sugli altri, che producono socialità e cultura, che risolvono problemi importanti, che intervengono per alleviare pene e risolvere conflitti, se si merita dalla collettività (ed è questa la vera meritocrazia, o quella che ci interessa di più), è giusto che la collettività, attraverso le sue istituzioni, sostenga gli interventi che sono di <<pubblica utilità>>. È suo dovere, come è suo dovere rispettare le specificità delle iniziative e dei gruppi, una volta discussa e riconosciuta la validità di un metodo o di un progetto. Non si tratta dunque di continuare a chiedere l’elemosina, accettando tutti i ricatti che ne conseguono, ma di rivendicare dei diritti, visto che le minoranze, i gruppi cui apparteniamo, quanto a doveri ne sanno più di ogni altro e, soprattutto, assai più delle istituzioni e, ovviamente, dei politici occupanti e sfruttatori del presente, incuranti del futuro. Il rifiuto di un modo di lavorare avvilente, sottoposto agli interessi e alle bizze della politica, deve basarsi sulla conoscenza dei rispettivi diritti e doveri dei gruppi (della società civile), delle istituzioni e dei politici. Bisogna saper dire basta all’invadenza, all’arroganza, alla prepotenza dei politici, e delle istituzioni da loro invase e svuotate di ogni autonomia.
Se un qualche rinnovamento è possibile ancora pensare per la nostra società, non può che passare attraverso la netta separazione dei compiti e dei doveri dei gruppi di intervento (in attesa che possano risorgere movimenti nuovi e seri), delle istituzioni e della politica. Se un qualche rinnovamento è possibile per la nostra società, si tratta di assumerne l’ambizione attraverso attività serie e coscienti, basate sulla capacità di far lievito, su metodologie limpide, ma anche sulla salda richiesta di essere rispettati da parte di chi di fatto comanda, per mandato elettorale, e saccheggia e distrugge invece di costruire e di chi amministra, per vocazione e carriera, e dovrebbe farlo per il bene comune

Tratto dal capitolo “Partiti, istituzioni, gruppi, movimenti del libro  “ZONE GRIGIE”  di Goffredo Fofi – Saggine – Donzelli Editore

Rivendichiamo i diritti, avendo sempre presenti i nostri doveri. Alziamo la voce per farci sentire. Se necessario, scendiamo in piazza per rivendicare i diritti e la legalità, pacificamente.
È un diritto e anche un dovere esigere la buona politica, il rispetto delle leggi, il controllo del rispetto delle leggi, la soluzione dei problemi, una puntuale informazione, trasparenza, giustizia sociale, la partecipazione politica, il lavoro, lo sviluppo sostenibile, l’equilibrio ecologico, la difesa ambientale, la salvaguardia dei beni comuni. Rivendichiamo i diritti con ogni mezzo lecito, singolarmente e/o in gruppo (come società civile), sempre!

sabato 4 febbraio 2012

Vi piace l'idea di ...

una Banca del Tempo a Santa Teresa?

Speriamo che l’attuale amministrazione comunale (o la prossima amministrazione) promuova e sostenga la costituzione di una “Banca del Tempo”.
Le Banche del Tempo sono previste dall’articolo 27 (Banche dei Tempi) della legge 8 marzo 2000, n. 53, che recita:
“1. Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l'utilizzo dei servizi della città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, per favorire l'estensione della solidarietà nelle comunità locali e per incentivare le iniziative di singoli e gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà e interesse, gli enti locali possono sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate "banche dei tempi".
2. Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi, possono disporre a loro favore l'utilizzo di locali e di servizi e organizzare attività di promozione, formazione e informazione. Possono altresì aderire alle banche dei tempi e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale. Tali prestazioni devono essere compatibili con gli scopi statutari delle banche dei tempi e non devono costituire modalità di esercizio delle attività istituzionali degli enti locali.”

La Banca del Tempo è un modo di riorganizzare la rete d'aiuto reciproco e dei rapporti di buon vicinato e  convivenza civile, dove ogni persona può essere il soggetto del dare e ricevere in un rapporto di reciprocità e di solidarietà.
Le risorse, le disponibilità, i bisogni, le domande, i desideri, i pensieri, i sentimenti, i valori, i saperi, vengono messi in rete e lasciati circolare, per avere in un unico tempo utilità materiale e nutrimento morale.
La forza della Banca del Tempo sta nel saper affrontare la solitudine, nell’accoglienza al di là delle diversità e differenze, nell’affermazione di una propria identità nel ritrovare lo spirito di una comunità solidale e aperta, radicata nella propria terra.
Gli interventi dei soci sono fatti per reciproco aiuto e per puro spirito di solidarietà, amore verso il prossimo e senso civico; non si sostituiscono ai servizi di assistenza sociale o altro tipo  istituiti dal comune  o altri enti pubblici.
L’auto-organizzazione dei cittadini è un elemento imprescindibile per dare vita ad una Banca del Tempo. Se l’idea della Banca vi piace e volete impegnarvi in quest’avventura contattatemi. Si può iniziare anche in pochi Il supporto dell’Amministrazione comunale è auspicabile ma non è essenziale.

Vedi Bozze >>   Statuto     Regolamento    Attività    Scheda iscrizione

mercoledì 1 febbraio 2012

Il volontariato, una risorsa per la democrazia. Ma come?

di Gregorio Arena

Contro la sfiducia e la paura, le energie del volontariato
Quale può essere il ruolo del volontariato italiano nel rafforzare la democrazia nel nostro Paese? In che modo, con quali strumenti, attraverso quali percorsi il volontariato può essere effettivamente una risorsa per la democrazia? Queste e altre domande si sono poste le  principali organizzazioni di volontariato nell'ambito di un convegno organizzato a Pisa il 20 gennaio dall'Università del Terzo Settore.

Può il volontariato prendersi cura di quel particolare bene comune che è la democrazia?
In primo luogo è necessario chiarire che quando parliamo di democrazia possiamo farlo in almeno tre accezioni diverse. La prima e più ovvia è la democrazia rappresentativa, la seconda è la democrazia partecipativa e deliberativa e infine l'ultima, più recente, è la democrazia "operante" fondata sul principio di sussidiarietà.
La democrazia "operante"
Partiamo da quest'ultima, anche perché rappresenta in qualche modo la traduzione nella sfera della politica di una delle caratteristiche fondamentali del volontariato, la capacità cioè di innovare radicalmente i rapporti fra istituzioni e cittadini.
Tradizionalmente infatti il rapporto fra governanti e governati, fra cittadini e istituzioni è fondato sullo schema "domanda dei cittadini - risposta delle istituzioni", derivato a sua volta dallo schema più generale "obbedienza (dei cittadini) in cambio di protezione (dello Stato)". La domanda può consistere nella richiesta di un'autorizzazione oppure di una prestazione, ma in ogni caso si dà per scontato che la risposta possa provenire unicamente dall'istituzione interpellata.
Il volontariato dimostra invece da anni con la propria azione come sia possibile uscire da questo schema dando vita ad una diversa organizzazione della società, fondata sulla capacità dei cittadini stessi di dare autonomamente risposte ai propri bisogni, senza delegare sempre alle istituzioni. L'aspetto più interessante in tutto ciò è la valenza implicitamente "politica" del modo di intervenire del volontariato, perché tali risposte non vengono cercate e ottenute individualmente, "comprando" prestazioni e servizi sul mercato, bensì sono risposte date "insieme con gli altri", cioè risposte solidali. E, come diceva Don Milani "politica è uscire insieme dai problemi, avarizia è uscirne da soli".
"Domanda dei cittadini - risposta dei cittadini"
Sotto questo profilo l'introduzione in Costituzione del principio di sussidiarietà non ha fatto altro che riconoscere e legittimare il ribaltamento di prospettiva introdotto dal volontariato affiancando allo schema tradizionale "domanda dei cittadini - risposta delle istituzioni" lo schema "domanda dei cittadini - risposta dei cittadini" fondato appunto sulla sussidiarietà.
Quando i volontari ed i cittadini attivi si prendono cura dei beni comuni dimostrano con i fatti non soltanto che si possono avere risposte anche senza chiedere allo Stato, ma che le risposte che si danno insieme soddisfano sia le esigenze degli altri, sia le proprie. Infine, dimostrano che dando risposte insieme con gli altri si cresce, si sviluppano le proprie "capacitazioni" (Amartya Sen), ciò che non accade quando la risposta la fornisce lo Stato, né quando la risposta si ottiene privatamente.
In questo senso si può dire anche che il volontariato produce innovazione, perché spesso le risposte solidali, essendo il risultato della collaborazione fra diversi soggetti, danno vita a soluzioni diverse da quelle tradizionali. L'innovazione risulta in questo come in altri casi dalla combinazione inedita di fattori noti, cioè delle risorse di cui sono portatori i cittadini con quelle della pubblica amministrazione, grazie alla sussidiarietà.
La democrazia partecipativa e deliberativa
Il superamento della logica della delega nel dare risposte ai bisogni dei cittadini spinge inevitabilmente verso lo sviluppo di forme di democrazia partecipativa e deliberativa. Se infatti si impara a dare risposte autonomamente e insieme con gli altri, si acquista fiducia in sé stessi e non si è più disposti a delegare totalmente alle istituzioni.
Sotto questo profilo, il volontariato è una risorsa per la democrazia perché incarnando il superamento della rappresentanza come unica forma di partecipazione alla vita pubblica, dimostra come siano possibili nuove forme di cittadinanza, attiva, responsabile e solidale, che rafforzano (non sostituiscono) le modalità tradizionali di partecipazione democratica.

…. Per leggere tutto l’articolo cliccare sul link >> www.labsus.org

Traggo spunto da quest’articolo del professore Gregorio Arena, che introduce un concetto nuovo, almeno per me, di democrazia “operante, per lanciare un’idea che covo da tanto tempo: organizzare una BANCA DEL TEMPO. Ce n’é una che funziona bene nel nostro comprensorio, ad Alì Terme, presieduta dalla Signora Nina Di Nuzzo, una donna semplice ma eccezionale allo stesso tempo. Sono andato a trovarla alcuni mesi fa per avere informazioni e le ho promesso che avrei fatto il tentativo di far nascere una Banca del Tempo a Santa Teresa. 
La Banca del tempo è una libera associazione tra persone che si auto-organizzano e si scambiano tempo per aiutarsi soprattutto nelle piccole necessità quotidiane.
La "regola di fondo che vige in tutte le Banche del Tempo è lo scambio". Sinonimo di reciproca convenienza, lo scambio presuppone, per sua stessa definizione, che i soggetti che entrano in relazione siano attivi.  "La solidarietà che circola nelle Banche del Tempo non è a senso unico. E' reciproca e alla pari. Il tempo scambiato è misurato in ore e l'ora è di 60 minuti per tutti, indipendentemente dalla professione, dalla classe sociale di appartenenza o dalle condizioni economiche delle singole persone".
In questo senso, le Banche del Tempo realizzano un egualitarismo pressoché perfetto. Le banche del tempo servono a soddisfare bisogni materiali e bisogni immateriali. Tra i primi, prevalgono quelli legati all'organizzazione quotidiana della vita delle persone e delle famiglie; tra i secondi, il bisogno di compagnia e di allargare la rete delle amicizie. Le banche, infatti, sono luoghi di socializzazione, che favoriscono anche la messa in comune di saperi e conoscenze. L'elenco degli aiuti che vengono scambiati e misurati in ore è molto lungo. Può essere suddiviso in due grandi aree:
la prima, la prevalente, è composta dalle prestazioni minute che riguardano lo svolgimento della vita quotidiana (la spesa, la cucina, la lavanderia, le relazioni con gli enti pubblici, i bambini, gli anziani, il tempo libero in compagnia...);
la seconda, molto diffusa anche perché favorisce la socializzazione, riguarda lo scambio dei saperi. Cioè, il baratto delle conoscenze che le singole persone possiedono. Questo secondo tipo di scambi mette sullo stesso piano saperi esistenti sul mercato (computer, lingue, pittura, fotografia…) e saperi "fuori mercato", nel senso che ad essi non è attribuito valore economico. E' il caso dei saperi delle persone anziane (come si viveva anni fa, i vecchi mestieri, com'era la città...) e delle casalinghe (ricette, ricami, pizzi, stiro...). 
Le Banche del Tempo sono già oltre la crisi. Perché scambiano tempo, non denaro. Perché creano un capitale di relazioni tra persone. Perché fanno cultura e formano alla solidarietà