mercoledì 1 febbraio 2012

Il volontariato, una risorsa per la democrazia. Ma come?

di Gregorio Arena

Contro la sfiducia e la paura, le energie del volontariato
Quale può essere il ruolo del volontariato italiano nel rafforzare la democrazia nel nostro Paese? In che modo, con quali strumenti, attraverso quali percorsi il volontariato può essere effettivamente una risorsa per la democrazia? Queste e altre domande si sono poste le  principali organizzazioni di volontariato nell'ambito di un convegno organizzato a Pisa il 20 gennaio dall'Università del Terzo Settore.

Può il volontariato prendersi cura di quel particolare bene comune che è la democrazia?
In primo luogo è necessario chiarire che quando parliamo di democrazia possiamo farlo in almeno tre accezioni diverse. La prima e più ovvia è la democrazia rappresentativa, la seconda è la democrazia partecipativa e deliberativa e infine l'ultima, più recente, è la democrazia "operante" fondata sul principio di sussidiarietà.
La democrazia "operante"
Partiamo da quest'ultima, anche perché rappresenta in qualche modo la traduzione nella sfera della politica di una delle caratteristiche fondamentali del volontariato, la capacità cioè di innovare radicalmente i rapporti fra istituzioni e cittadini.
Tradizionalmente infatti il rapporto fra governanti e governati, fra cittadini e istituzioni è fondato sullo schema "domanda dei cittadini - risposta delle istituzioni", derivato a sua volta dallo schema più generale "obbedienza (dei cittadini) in cambio di protezione (dello Stato)". La domanda può consistere nella richiesta di un'autorizzazione oppure di una prestazione, ma in ogni caso si dà per scontato che la risposta possa provenire unicamente dall'istituzione interpellata.
Il volontariato dimostra invece da anni con la propria azione come sia possibile uscire da questo schema dando vita ad una diversa organizzazione della società, fondata sulla capacità dei cittadini stessi di dare autonomamente risposte ai propri bisogni, senza delegare sempre alle istituzioni. L'aspetto più interessante in tutto ciò è la valenza implicitamente "politica" del modo di intervenire del volontariato, perché tali risposte non vengono cercate e ottenute individualmente, "comprando" prestazioni e servizi sul mercato, bensì sono risposte date "insieme con gli altri", cioè risposte solidali. E, come diceva Don Milani "politica è uscire insieme dai problemi, avarizia è uscirne da soli".
"Domanda dei cittadini - risposta dei cittadini"
Sotto questo profilo l'introduzione in Costituzione del principio di sussidiarietà non ha fatto altro che riconoscere e legittimare il ribaltamento di prospettiva introdotto dal volontariato affiancando allo schema tradizionale "domanda dei cittadini - risposta delle istituzioni" lo schema "domanda dei cittadini - risposta dei cittadini" fondato appunto sulla sussidiarietà.
Quando i volontari ed i cittadini attivi si prendono cura dei beni comuni dimostrano con i fatti non soltanto che si possono avere risposte anche senza chiedere allo Stato, ma che le risposte che si danno insieme soddisfano sia le esigenze degli altri, sia le proprie. Infine, dimostrano che dando risposte insieme con gli altri si cresce, si sviluppano le proprie "capacitazioni" (Amartya Sen), ciò che non accade quando la risposta la fornisce lo Stato, né quando la risposta si ottiene privatamente.
In questo senso si può dire anche che il volontariato produce innovazione, perché spesso le risposte solidali, essendo il risultato della collaborazione fra diversi soggetti, danno vita a soluzioni diverse da quelle tradizionali. L'innovazione risulta in questo come in altri casi dalla combinazione inedita di fattori noti, cioè delle risorse di cui sono portatori i cittadini con quelle della pubblica amministrazione, grazie alla sussidiarietà.
La democrazia partecipativa e deliberativa
Il superamento della logica della delega nel dare risposte ai bisogni dei cittadini spinge inevitabilmente verso lo sviluppo di forme di democrazia partecipativa e deliberativa. Se infatti si impara a dare risposte autonomamente e insieme con gli altri, si acquista fiducia in sé stessi e non si è più disposti a delegare totalmente alle istituzioni.
Sotto questo profilo, il volontariato è una risorsa per la democrazia perché incarnando il superamento della rappresentanza come unica forma di partecipazione alla vita pubblica, dimostra come siano possibili nuove forme di cittadinanza, attiva, responsabile e solidale, che rafforzano (non sostituiscono) le modalità tradizionali di partecipazione democratica.

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Traggo spunto da quest’articolo del professore Gregorio Arena, che introduce un concetto nuovo, almeno per me, di democrazia “operante, per lanciare un’idea che covo da tanto tempo: organizzare una BANCA DEL TEMPO. Ce n’é una che funziona bene nel nostro comprensorio, ad Alì Terme, presieduta dalla Signora Nina Di Nuzzo, una donna semplice ma eccezionale allo stesso tempo. Sono andato a trovarla alcuni mesi fa per avere informazioni e le ho promesso che avrei fatto il tentativo di far nascere una Banca del Tempo a Santa Teresa. 
La Banca del tempo è una libera associazione tra persone che si auto-organizzano e si scambiano tempo per aiutarsi soprattutto nelle piccole necessità quotidiane.
La "regola di fondo che vige in tutte le Banche del Tempo è lo scambio". Sinonimo di reciproca convenienza, lo scambio presuppone, per sua stessa definizione, che i soggetti che entrano in relazione siano attivi.  "La solidarietà che circola nelle Banche del Tempo non è a senso unico. E' reciproca e alla pari. Il tempo scambiato è misurato in ore e l'ora è di 60 minuti per tutti, indipendentemente dalla professione, dalla classe sociale di appartenenza o dalle condizioni economiche delle singole persone".
In questo senso, le Banche del Tempo realizzano un egualitarismo pressoché perfetto. Le banche del tempo servono a soddisfare bisogni materiali e bisogni immateriali. Tra i primi, prevalgono quelli legati all'organizzazione quotidiana della vita delle persone e delle famiglie; tra i secondi, il bisogno di compagnia e di allargare la rete delle amicizie. Le banche, infatti, sono luoghi di socializzazione, che favoriscono anche la messa in comune di saperi e conoscenze. L'elenco degli aiuti che vengono scambiati e misurati in ore è molto lungo. Può essere suddiviso in due grandi aree:
la prima, la prevalente, è composta dalle prestazioni minute che riguardano lo svolgimento della vita quotidiana (la spesa, la cucina, la lavanderia, le relazioni con gli enti pubblici, i bambini, gli anziani, il tempo libero in compagnia...);
la seconda, molto diffusa anche perché favorisce la socializzazione, riguarda lo scambio dei saperi. Cioè, il baratto delle conoscenze che le singole persone possiedono. Questo secondo tipo di scambi mette sullo stesso piano saperi esistenti sul mercato (computer, lingue, pittura, fotografia…) e saperi "fuori mercato", nel senso che ad essi non è attribuito valore economico. E' il caso dei saperi delle persone anziane (come si viveva anni fa, i vecchi mestieri, com'era la città...) e delle casalinghe (ricette, ricami, pizzi, stiro...). 
Le Banche del Tempo sono già oltre la crisi. Perché scambiano tempo, non denaro. Perché creano un capitale di relazioni tra persone. Perché fanno cultura e formano alla solidarietà

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