Se referendum dev’essere, che sia, ma in tutti i comuni del
comprensorio. L’amministrazione di San Filippo del Mela, è ormai certo, indirà
un referendum per chiedere ai filippesi se vogliono o no che la centrale termo
elettrica di archi venga trasformata in un mega-inceneritore. È quasi ovvio che
la scelta di ricorrere allo strumento di democrazia diretta per eccellenza
raccoglie il plauso dei comitati che si battono contro il progetto di
riconversione.
Riservare però il diritto di esprimere la propria volontà
solo ai filippesi svuoterebbe lo strumento referendario del suo grande valore
democratico e ne ridurrebbe l’efficacia. L’inquinamento, i veleni e il sottosviluppo,
causati da un mega-inceneritore da 510 mila tonnellate l’anno, non
osserverebbero i confini amministrativi del comune di San Filippo del Mela, ma
li attraverserebbero inesorabilmente almeno per un raggio di 30 km in linea
d’area. In definitiva, un referendum solo a San Filippo del Mela finirebbe
inevitabilmente per distinguere cittadini di serie A, i filippesi, e altri di
serie B, tutti i restanti 150 mila
L’idea del referendum però non accende, come ci si
aspetterebbe, tutti gli entusiasmi. Mentre i sindaci degli altri comuni del
comprensorio temporeggiano, i suoi detrattori si sperimentano in argomentazioni
astruse, per fortuna poco consistenti.
Essi sollevano due ordini di problemi. Dicono in primo
luogo che i comuni non avrebbero i soldi per fare i referendum, in tempi di
magra, con molti bilanci comunali vicini al dissesto, persino l’esercizio dei
basilari diritti di partecipazione democratica deve subire la scure
dell’austerità. In realtà quest’analisi, oltre a essere in contrasto con quanto
stabilito dai padri costituenti qualche decennio fa, nasconde una menzogna
bella e buona. Esiste infatti una legge regionale, la n.5 del
2014, che all’art 6 statuisce: “Ai comuni è fatto obbligo di spendere almeno il
2 per cento delle somme loro trasferite con forme di democrazia partecipata,
utilizzando strumenti che coinvolgano la cittadinanza per la scelta di azioni
di interesse comune”. Sarà il referendum una “forma di
democrazia partecipata”? E ancora, il decidere se impiantare o meno un
mega-inceneritore può essere definita un’azione di interesse comune”? Se la
risposta è “si” per entrambe le domande, allora i soldi per il referendum ci
sono, anzi, come dice la legge “ai comuni è fatto obbligo” di spenderli così.
In secondo luogo si sostiene che, dato in molti comuni i
consigli comunali hanno deliberato contro l’incenerimento e poiché viviamo in
una democrazia rappresentativa, i cittadini si siano già espressi. Ora, benché
i consiglieri comunali siano stati liberamente eletti a rappresentare i
cittadini, rimangono comunque singoli, persone che votano in coscienza.
Insomma, il parallelo fra voto dei consiglieri e volontà popolare è comunque un
costrutto tecnico-giuridico. Non a caso la nostra costituzione prevede che per
cambiare le sue norme, in alcuni casi, si chieda direttamente ai cittadini
quali siano le loro volontà. Inoltre, in un sistema in cui il personale
politico è spesso solo attento ad essere rieletto alla prossima tornata utile,
il ricatto elettorale può diventare un importante strumento di pressione a
disposizione dei movimenti che si battono per cambiare l’esistente. Mettiamo
che, nel caso di un referendum comprensoriale sull’inceneritore, 50 mila
persone dicessero espressamente di no, un tale numero di voti non
impensierirebbe nessuno, a fronte de fatto che tra circa un anno si
celebreranno le elezioni regionali? Continuerebbero a cercare di imporci una
scelta che il territorio ha già dimostrato il 27 settembre scorso, con 3 mila
persone in piazza, di non volere? O terrebbero conto dei voti potenzialmente
persi? Probabile.
Di una cosa siamo certi. Questa lotta è talmente
importante che va combattuta con ogni mezzo, “by every means” diceva Malcom X.
Al momento i mezzi a disposizione sono due: le osservazioni da inviare al
Ministero dell’Ambiente e del Territorio entro il 21 novembre, cui un comitato
tecnico-scentifico sta lavorando, e la mobilitazione popolare anche nelle forme
del referendum. D'altronde la storia insegna, già una volta la Valle del Mela
evitò una catastrofe: era il 1989 si disse no al carbone, con un referendum in
22 comuni.
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