venerdì 11 gennaio 2013

Educare alla legalità

Educare alla legalità: la diffusione di buone prassi sul territorio

di don Luigi Ciotti


Un problema prima di tutto culturale. "Educazione alla legalità" è un'espressione che rischia oggi di suonare riduttiva e inadeguata. Ecco perché, prima di affrontare questo tema, mi sembra necessaria una premessa più ampia sul clima culturale del nostro Paese.

Dobbiamo interrogarci su come la crisi della legalità sia connessa al diffondersi di egoismo ed indifferenza. Quel che più preoccupa è una generale "smobilitazione delle coscienze": tanti italiani hanno ormai "depenalizzato" certi reati dentro di sé, sono disposti a chiudere un occhio su quelle piccole - ma spesso tutt'altro che piccole - violazioni delle regole che fanno comodo perché permettono di ottenere dei vantaggi o di consolidare dei privilegi.

Tra i sessanta paesi più avanzati del mondo, l'Italia è al quinto posto per il livello di corruzione. Segno inequivocabile di un'illegalità diffusa che merita una riflessione profonda. Dobbiamo fermarci e scoprirci ancora in grado di provare disgusto rispetto a questa situazione. Uso il termine disgusto, e non indignazione, perché ormai l'indignazione è diventata una "moda". Tutti si indignano, ma la maggior parte poi si ferma lì, non prova trasformare questo sentimento in impegno.
Aveva ragione Corrado Alvaro, il grande scrittore di San Luca nella Locride, quando scriveva che «la disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile». Dobbiamo ribellarci alla rassegnazione per sconfiggere insieme questo dubbio.  

Ci troviamo sempre più a fare i conti con una cultura che esalta una libertà slegata dalla responsabilità, una libertà degradata ad arbitrio, ad affermazione a scapito degli altri se non contro gli altri. È un concetto che sta sullo sfondo di tanti messaggi quotidiani - della pubblicità ma a volte anche della politica - e si accompagna all'idea che ciò che conta è l'immagine, il potere, il possesso, la forza, il denaro, la bellezza ad oltranza. 


 <<Educazione e legalità: due modi di pronunciare la parola "noi">>
     di don Luigi Ciotti

La legalità - afferma un documento della Cei del 1991 - è «insieme rispetto e pratica delle leggi». Non solo rispetto di norme imposte dall'alto, ma pratica quotidiana di regole condivise. Così intesa - continua il documento - «la legalità è un'esigenza fondamentale della vita sociale per promuovere il pieno sviluppo della persona umana e la costruzione del bene comune». «Un'esigenza fondamentale»: fondamentale diventa allora educare ed educarci alla legalità, o meglio alla responsabilità.
La legalità non è infatti un valore in quanto tale: è l'anello che salda la responsabilità individuale alla giustizia sociale, l'io e il "noi". Per questo non bastano le regole. Le regole funzionano se incontrano coscienze critiche, responsabili, capaci di distinguere, di scegliere, di essere coerenti con quelle scelte. Il rapporto con le regole non può essere solo di adeguamento, tanto meno di convenienza o paura. La regola parla a ciascuno di noi, ma non possiamo circoscrivere il suo messaggio alla sola esistenza individuale: in ballo c'è il bene comune, la vita di tutti, la società. L’educazione alla legalità si colloca allora nel più ampio orizzonte dell'educarci insieme ai rapporti umani, con tutto ciò che questo comporta: capacità di riconoscimento, di ascolto, di reciprocità, d'incontro, di accoglienza.

Nella consapevolezza che la diversità non solo fa parte della vita ma è la vita, la sua essenza e la sua ricchezza.
Già Giovanni Paolo II, parlando a Napoli nel 1990, rilevava la grave crisi di legalità dell'Italia. «Non c'è chi non veda - disse - l'urgenza di un grande recupero di moralità personale e sociale, di legalità. Sì: urge un recupero di legalità.» Sono passati più di vent'anni, ma quel monito resta fortemente attuale. E non solo pensando al crimine organizzato, tutt'altro che sconfitto e anzi, in certi contesti, rafforzato nella sua rete di interessi e complicità, ma anche a quelle forme di illegalità verso le quali non c'è sufficiente attenzione e condanna. Piccoli e grandi reati diventati costume - o meglio malcostume - espressioni di un'illegalità che è stata "depenalizzata" nelle coscienze e si è insediata nelle pieghe della vita sociale. Forme di corruzione e abuso che delle mafie sono spesso il "viatico" e l'anticamera.





<<"Educare alla legalita": purché non sia uno slogan>>
di don Luigi Ciotti

Ci sono espressioni come "educare alla legalità" che dobbiamo avere il coraggio, ma anche l'umiltà, di ripensare. La legalità comincia infatti dalla corresponsabilità, da un educarci insieme nella coscienza dei nostri limiti, coscienza che è segno di libertà e autenticità.
Non può esserci legalità senza questo mettersi in gioco, questo incontrarci nella nostra diversità di persone, specchio della diversità della vita. Il linguaggio delle leggi risulta estraneo se prima non abbiamo imparato quello dei rapporti umani, se la prossimità e l'attenzione agli altri non ci hanno fatto capire la differenza tra una legge che promuove il bene comune e una che difende interessi e privilegi particolari. La storia racconta di leggi che hanno giustificato la forza invece di rafforzare la giustizia, incoraggiando forme di razzismo, di oppressione, di sfruttamento. O che, più spesso, non hanno saputo trovare il giusto equilibrio tra la sanzione e l'inclusione, tra l'aspetto penale e la dimensione sociale.

Il primo punto da chiarire è allora che la legalità non è un valore in sé. È uno strumento, un mezzo per collegare la responsabilità individuale da un lato, la giustizia sociale dall'altro.




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