di don Luigi Ciotti
Un problema prima di
tutto culturale. "Educazione alla legalità" è un'espressione
che rischia oggi di suonare riduttiva e inadeguata. Ecco perché, prima di
affrontare questo tema, mi sembra necessaria una premessa più ampia sul clima
culturale del nostro Paese.
Dobbiamo interrogarci su come la
crisi della legalità sia connessa al diffondersi di egoismo ed indifferenza.
Quel che più preoccupa è una generale "smobilitazione delle
coscienze": tanti italiani hanno ormai "depenalizzato" certi reati
dentro di sé, sono disposti a chiudere un occhio su quelle piccole - ma spesso
tutt'altro che piccole - violazioni delle regole che fanno comodo perché
permettono di ottenere dei vantaggi o di consolidare dei privilegi.
Tra i sessanta paesi più avanzati
del mondo, l'Italia è al quinto posto per il livello di corruzione. Segno
inequivocabile di un'illegalità diffusa che merita una riflessione profonda.
Dobbiamo fermarci e scoprirci ancora in grado di provare disgusto rispetto a
questa situazione. Uso il termine disgusto, e non indignazione, perché ormai
l'indignazione è diventata una "moda". Tutti si indignano, ma la
maggior parte poi si ferma lì, non prova trasformare questo sentimento in
impegno.
Aveva ragione Corrado Alvaro, il grande scrittore di San Luca nella Locride, quando scriveva che «la disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile». Dobbiamo ribellarci alla rassegnazione per sconfiggere insieme questo dubbio.
Aveva ragione Corrado Alvaro, il grande scrittore di San Luca nella Locride, quando scriveva che «la disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile». Dobbiamo ribellarci alla rassegnazione per sconfiggere insieme questo dubbio.
Ci troviamo sempre più a fare i
conti con una cultura che esalta una libertà slegata dalla responsabilità, una
libertà degradata ad arbitrio, ad affermazione a scapito degli altri se non contro
gli altri. È un concetto che sta sullo sfondo di tanti messaggi quotidiani -
della pubblicità ma a volte anche della politica - e si accompagna all'idea che
ciò che conta è l'immagine, il potere, il possesso, la forza, il denaro, la
bellezza ad oltranza.
<<Educazione e legalità: due modi di pronunciare la parola "noi">>
di don Luigi Ciotti
La legalità - afferma un
documento della Cei del 1991 - è «insieme rispetto e pratica delle leggi». Non
solo rispetto di norme imposte dall'alto, ma pratica quotidiana di regole
condivise. Così intesa - continua il documento - «la legalità è un'esigenza
fondamentale della vita sociale per promuovere il pieno sviluppo
della persona umana e la costruzione del bene comune». «Un'esigenza
fondamentale»: fondamentale diventa allora educare ed educarci alla legalità, o
meglio alla responsabilità.
La legalità non è infatti un valore in quanto tale: è l'anello che salda la
responsabilità individuale alla giustizia sociale, l'io e il "noi".
Per questo non bastano le regole. Le regole funzionano se incontrano coscienze
critiche, responsabili, capaci di distinguere, di scegliere, di essere coerenti
con quelle scelte. Il rapporto con le regole non può essere solo di
adeguamento, tanto meno di convenienza o paura. La regola parla a ciascuno di
noi, ma non possiamo circoscrivere il suo messaggio alla sola esistenza
individuale: in ballo c'è il bene comune, la vita di tutti, la società. L’educazione
alla legalità si colloca allora nel più ampio orizzonte dell'educarci insieme
ai rapporti umani, con tutto ciò che questo comporta: capacità di
riconoscimento, di ascolto, di reciprocità, d'incontro, di accoglienza.
Nella consapevolezza che la
diversità non solo fa parte della vita ma è la vita, la sua essenza e
la sua ricchezza.
Già Giovanni Paolo II, parlando a Napoli nel 1990, rilevava la grave crisi di legalità dell'Italia. «Non c'è chi non veda - disse - l'urgenza di un grande recupero di moralità personale e sociale, di legalità. Sì: urge un recupero di legalità.» Sono passati più di vent'anni, ma quel monito resta fortemente attuale. E non solo pensando al crimine organizzato, tutt'altro che sconfitto e anzi, in certi contesti, rafforzato nella sua rete di interessi e complicità, ma anche a quelle forme di illegalità verso le quali non c'è sufficiente attenzione e condanna. Piccoli e grandi reati diventati costume - o meglio malcostume - espressioni di un'illegalità che è stata "depenalizzata" nelle coscienze e si è insediata nelle pieghe della vita sociale. Forme di corruzione e abuso che delle mafie sono spesso il "viatico" e l'anticamera.
Già Giovanni Paolo II, parlando a Napoli nel 1990, rilevava la grave crisi di legalità dell'Italia. «Non c'è chi non veda - disse - l'urgenza di un grande recupero di moralità personale e sociale, di legalità. Sì: urge un recupero di legalità.» Sono passati più di vent'anni, ma quel monito resta fortemente attuale. E non solo pensando al crimine organizzato, tutt'altro che sconfitto e anzi, in certi contesti, rafforzato nella sua rete di interessi e complicità, ma anche a quelle forme di illegalità verso le quali non c'è sufficiente attenzione e condanna. Piccoli e grandi reati diventati costume - o meglio malcostume - espressioni di un'illegalità che è stata "depenalizzata" nelle coscienze e si è insediata nelle pieghe della vita sociale. Forme di corruzione e abuso che delle mafie sono spesso il "viatico" e l'anticamera.
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<<"Educare alla legalita": purché non sia uno slogan>>
di don Luigi Ciotti
Ci sono espressioni come
"educare alla legalità" che dobbiamo avere il coraggio, ma anche
l'umiltà, di ripensare. La legalità comincia infatti dalla corresponsabilità,
da un educarci insieme nella coscienza dei nostri limiti, coscienza che è segno
di libertà e autenticità.
Non può esserci legalità senza
questo mettersi in gioco, questo incontrarci nella nostra diversità di persone,
specchio della diversità della vita. Il linguaggio delle leggi risulta estraneo
se prima non abbiamo imparato quello dei rapporti umani, se la prossimità e
l'attenzione agli altri non ci hanno fatto capire la differenza tra una legge
che promuove il bene comune e una che difende interessi e privilegi
particolari. La storia racconta di leggi che hanno giustificato la forza
invece di rafforzare la giustizia, incoraggiando forme di razzismo, di
oppressione, di sfruttamento. O che, più spesso, non hanno saputo trovare il
giusto equilibrio tra la sanzione e l'inclusione, tra l'aspetto penale e la
dimensione sociale.
Il primo punto da chiarire è
allora che la legalità non è un valore in sé. È uno strumento, un
mezzo per collegare la responsabilità individuale da un lato, la giustizia
sociale dall'altro.
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