Centonove ha pubblicato in data 08/09/2016 una
nota di Capitale Messina, a firma del prof. Giovanni Randazzo, in difesa della
scelta dell’incenerimento dei rifiuti operata dal governatore Crocetta e dal
Governo Renzi, criticandola addirittura come troppo timida nei volumi. Nella
stessa nota si adombra malignamente che i comitati no-inceneritori sarebbero
“sovvenzionati da chi ha interessi nelle discariche”. Tale affermazione è assolutamente
infamante per chi combatte con la sola forza della parola contro giganti del
calibro delle multiutilities italiane e multinazionali, che dall’incenerimento
di risorse di tutti i cittadini, quali sono i materiali post-consumo, ottengono
immensi ricavi. Il tentativo del prof. Randazzo è quello
frequente, in questi giorni, di far passare il pensiero unico che
l’incenerimento è la sola soluzione, che si fa dovunque in Europa e nel mondo,
che l’opposizione ad esso è o ideologica o complice delle discariche o non
suggerisce alternative. Invece proprio l’incenerimento è antiscientifico,
antieconomico, inquinante, favorisce le discariche e soprattutto è contrario al
buon senso. Inoltre la soluzione prospettata per la Sicilia fa a pugni con il
recente cosiddetto “Pacchetto sull’economia circolare”, esitato dalla Commissione Europea il 3/12/2015, una
lettura consigliata a tutti coloro che non l’hanno ancora fatto.In tale documento, peraltro perfettibile e
frutto di compromessi, si invitano istituzioni europee e stati membri ad
attuare politiche di recupero di materiali dai nostri scarti. La ratio è soprattutto
di natura economica. L’Europa non dispone di materie prime sufficienti per
alimentare il proprio imponente sistema industriale, ed è costretta ad
importarle. Nel medio termine la dura concorrenza dei paesi emergenti (BRICS),
la cui crescita è velocissima, sul mercato delle materie prime sarà devastante
per l’aumento dei costi, e l’UE intravede lo spettro della desertificazione
industriale. Il sobrio uso delle materie prime ed il recupero delle materie
prime seconde dai nostri scarti, da reinserire nel ciclo produzione consumi
(economia circolare), è quindi strategico per ragioni economiche. Oltre che per
ragioni ecologiche in quanto consentirebbe di diminuire lo sfruttamento delle
risorse naturali, che agli attuali ritmi di consumo sono insufficienti per i 7
miliardi di abitanti di questo pianeta. Il pacchetto propone pure il divieto
entro dieci anni dell’incenerimento di rifiuti compostabili e riciclabili (cioè
quasi tutto), come dire che appena costruiti gli inceneritori potrebbero
esporre l’Italia a pesanti sanzioni. Ricordiamo che stiamo già pagando sanzioni
perché le nostre discariche sono illegali, e non effettuano, se non poche, in
ingresso il trattamento meccanico-biologico o TMB (direttiva europea
1999/31/CE, recepita in legge con il D.lgs.
n.36 del 12/03/2003), il che è fra le principali concause della emergenza
odierna..
Il prof. Randazzo
critica Crocetta e l’accordo col MATTM perché prevede l’incenerimento di solo 700.000 tonnellate annue di
combustibile solido secondario (CSS). Questa è la quantità (secondo noi
sovrastimata) ottenibile dai rifiuti urbani residui (RUR), cioè l’eccedenza di
tal quale, dopo una raccolta differenziata del 65%, irrealistica entro poco
tempo. Il prof. Randazzo si “dimentica” o sembra ignorare parecchi importanti
elementi.
·
Il Testo Unico delle
Leggi Ambientali (D.lgs 152/06 mm.ii.) prevedeva al 31/12/2012, e la L.R.
9/2010 posticipava questo termine per la Sicilia al 31/12/2015, il termine
ultimo per raggiungere la quota minima del 65% di raccolta differenziata. Tutti
i comuni che non hanno raggiunto questi livelli sono, dunque, fuorilegge. La
differenza fra la RD raggiunta ed il 65% è dunque la prova di un reato. Il
prof. Randazzo pare non conoscere le leggi che governano il settore su cui
sviluppa le sue proposte, e propone di incenerire tale flusso, in aggiunta al
35%. Ritengo che questo sia il motivo per cui il MATTM non chiede di
incenerirne di più, in quanto avallerebbe l’inosservanza delle leggi vigenti.
· L’idea che gli inceneritori possano eliminare le discariche è poi una “svista” sesquipedale. Come il prof. Randazzo non può non sapere, siccome nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma, l’incenerimento non disintegra la spazzatura né la trasforma solo in energia – cosa possibile solo nelle stelle o in laboratori come il CERN e per piccolissime quantità - ma in ceneri, scorie, gas serra (CO2), macroinquinanti (SOx, NOx, CO, …) e microinquinanti (diossine, furani, metalli pesanti, polveri e nano polveri…), cioè emissioni o tossiche, o nocive o climalteranti. Ora, il 23-27%, sono ceneri pesanti e volatili, con le seconde, in particolare, che rappresentano rifiuti pericolosi e vanno smaltiti a costi molto elevati in discariche speciali. Quindi l’incenerimento non elimina le discariche ma le favorisce, ingessando il sistema su tonnellaggi in ingresso agli inceneritori cui corrispondono tonnellaggi in uscita dagli stessi e verso le discariche, né diminuisce i costi per i cittadini. Poi c’è da chiedersi: dove vanno a finire le emissioni gassose? Con buona pace delle tecnologie ad emissioni zero, va tutto nella discarica più grande che c’è: l’atmosfera. Cioè l’aria che noi ed i nostri figli vorremmo a buon diritto respirare. E poi nell’acqua che vorremmo bere, e nel terreno che vorremmo coltivare per nutrirci. Enormi costi ambientali e per la salute, dunque. È questa una motivazione ideologica o scientifica?
· In verità i RUR spesso non vengono bruciati tal quale. In molti casi, come nella proposta della Valle del Mela, cui ribadiamo la nostra ferma opposizione per tutte le motivazioni qui estese, dopo TMB circa il 35-40% del RUR è la frazione umida “sporca” che va avviata alla biostabilizzazione (non alla biodigestione!), e con il restante 65-60%, il secco indifferenziato (sporco di umido), si può produrre, depurandolo dalla parti non combustibili, il CSS. Questo è di solito un rifiuto speciale e solo in alcuni casi (18 classi su 125) un end-of-waste (ossia un materiale per cui decade lo status legale di rifiuto) che può essere commercializzato come combustibile. Ma dal secco indifferenziato si può invece continuare il recupero di materiali (le fabbriche dei materiali), e con la parte non più separabile, mediante densificazione/estrusione si possono realizzare plastiche multicomposite che hanno svariate applicazioni e vasto mercato, e persino laterizi innovativi, più leggeri e resistenti delle terrecotte. Dalla loro commercializzazione si può creare reddito e lavoro, in aggiunta a quelli creati con la RD.
· Una volta che i cittadini consegnano i loro materiali post-consumo ai comuni, se si recuperassero interamente tutti i materiali, i comuni potrebbero incassare fino a 40-45 euro a tonnellata sul mercato delle materie prime, o 20-25 euro cedendoli ai consorzi obbligatori. Tali denari sono ovviamente una risorsa pubblica, che potrebbe essere sfruttata anche solo per ridurre la TARI. Se invece si conferiscono in discarica o all’incenerimento i cittadini pagano il conferimento, il TMB, nonché l’eventuale produzione di CSS e il suo incenerimento. Pertanto, l’inceneritore è uno strano caso contrario al libero mercato, perché una impresa non acquista la materia prima per le sue produzioni ma si fa pagare per prenderla! E i cittadini pagano ben quattro volte: 1) non incassano il controvalore dei materiali recuperabili, 2) pagano per il conferimento, 3) i gestori incassano per l’energia prodotta con materiali di proprietà dei comuni, e 4) i cittadini pagano una maggiorazione delle bollette elettriche per gli incentivi a questa falsa energia rinnovabile.
· Si citano sempre a sproposito esempi poco virtuosi di città (Parigi, Vienna, ecc.) che hanno investito nell’incenerimento. Si potrebbe obiettare che esistono altri casi di grandi metropoli che hanno scelto la strategia Rifiuti Zero, quali S. Francisco o, recentemente, anche New York. Ci si dimentica che i casi citati scelsero l’incenerimento negli anni novanta, mentre oggi esistono, come si è visto, alternative più economiche ed ecologiche. Anzi in alcuni paesi europei ed in alcune regioni italiane si sta già tematizzando una exit strategy dall’incenerimento. È dunque un “inspiegabile” incaponimento voler scimmiottare 20 anni dopo errori commessi altrove, quando oggi abbiamo piena contezza della praticabilità di percorsi indirizzati alla riduzione e riciclo, i cui esempi non mancano neanche in Sicilia. E se le medie regionali nascondono le discrepanze tra situazioni virtuose e non, ci si deve domandare perché i comuni limitrofi a quelli virtuosi non possono mutuare le stesse pratiche, anziché ragionare sulla inadempienza di quelli non virtuosi
· L’Emilia Romagna ha recentemente approvato una legge regionale che prevede incentivi alla riduzione dei rifiuti e dei RUR, introducendo quale parametro chiave non la percentuale di RD, ma i kilogrammi di rifiuti per abitante l’anno conferiti in discarica o inceneriti. Procedendo su questa strada la quantità di rifiuti da smaltire in poco tempo sarà marginale, come per esempio nel trevigiano (Consorzio Contarina). La qualcosa “affama” gli inceneritori. Infatti in alcuni casi eclatanti (Torino, Parma) i costi di gestione superano gli introiti, per carenza di combustibile. Pertanto col diffondersi di pratiche virtuose, diciamo tempo una decina d’anni a voler credere al Pacchetto sull’economia circolare, gli inceneritori non saranno economicamente vantaggiosi. Ma vale davvero la pena di spendere miliardi di euro se questi impianti fra qualche anno chiuderanno? Il buon senso direbbe di no.
· L’idea che gli inceneritori possano eliminare le discariche è poi una “svista” sesquipedale. Come il prof. Randazzo non può non sapere, siccome nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma, l’incenerimento non disintegra la spazzatura né la trasforma solo in energia – cosa possibile solo nelle stelle o in laboratori come il CERN e per piccolissime quantità - ma in ceneri, scorie, gas serra (CO2), macroinquinanti (SOx, NOx, CO, …) e microinquinanti (diossine, furani, metalli pesanti, polveri e nano polveri…), cioè emissioni o tossiche, o nocive o climalteranti. Ora, il 23-27%, sono ceneri pesanti e volatili, con le seconde, in particolare, che rappresentano rifiuti pericolosi e vanno smaltiti a costi molto elevati in discariche speciali. Quindi l’incenerimento non elimina le discariche ma le favorisce, ingessando il sistema su tonnellaggi in ingresso agli inceneritori cui corrispondono tonnellaggi in uscita dagli stessi e verso le discariche, né diminuisce i costi per i cittadini. Poi c’è da chiedersi: dove vanno a finire le emissioni gassose? Con buona pace delle tecnologie ad emissioni zero, va tutto nella discarica più grande che c’è: l’atmosfera. Cioè l’aria che noi ed i nostri figli vorremmo a buon diritto respirare. E poi nell’acqua che vorremmo bere, e nel terreno che vorremmo coltivare per nutrirci. Enormi costi ambientali e per la salute, dunque. È questa una motivazione ideologica o scientifica?
· In verità i RUR spesso non vengono bruciati tal quale. In molti casi, come nella proposta della Valle del Mela, cui ribadiamo la nostra ferma opposizione per tutte le motivazioni qui estese, dopo TMB circa il 35-40% del RUR è la frazione umida “sporca” che va avviata alla biostabilizzazione (non alla biodigestione!), e con il restante 65-60%, il secco indifferenziato (sporco di umido), si può produrre, depurandolo dalla parti non combustibili, il CSS. Questo è di solito un rifiuto speciale e solo in alcuni casi (18 classi su 125) un end-of-waste (ossia un materiale per cui decade lo status legale di rifiuto) che può essere commercializzato come combustibile. Ma dal secco indifferenziato si può invece continuare il recupero di materiali (le fabbriche dei materiali), e con la parte non più separabile, mediante densificazione/estrusione si possono realizzare plastiche multicomposite che hanno svariate applicazioni e vasto mercato, e persino laterizi innovativi, più leggeri e resistenti delle terrecotte. Dalla loro commercializzazione si può creare reddito e lavoro, in aggiunta a quelli creati con la RD.
· Una volta che i cittadini consegnano i loro materiali post-consumo ai comuni, se si recuperassero interamente tutti i materiali, i comuni potrebbero incassare fino a 40-45 euro a tonnellata sul mercato delle materie prime, o 20-25 euro cedendoli ai consorzi obbligatori. Tali denari sono ovviamente una risorsa pubblica, che potrebbe essere sfruttata anche solo per ridurre la TARI. Se invece si conferiscono in discarica o all’incenerimento i cittadini pagano il conferimento, il TMB, nonché l’eventuale produzione di CSS e il suo incenerimento. Pertanto, l’inceneritore è uno strano caso contrario al libero mercato, perché una impresa non acquista la materia prima per le sue produzioni ma si fa pagare per prenderla! E i cittadini pagano ben quattro volte: 1) non incassano il controvalore dei materiali recuperabili, 2) pagano per il conferimento, 3) i gestori incassano per l’energia prodotta con materiali di proprietà dei comuni, e 4) i cittadini pagano una maggiorazione delle bollette elettriche per gli incentivi a questa falsa energia rinnovabile.
· Si citano sempre a sproposito esempi poco virtuosi di città (Parigi, Vienna, ecc.) che hanno investito nell’incenerimento. Si potrebbe obiettare che esistono altri casi di grandi metropoli che hanno scelto la strategia Rifiuti Zero, quali S. Francisco o, recentemente, anche New York. Ci si dimentica che i casi citati scelsero l’incenerimento negli anni novanta, mentre oggi esistono, come si è visto, alternative più economiche ed ecologiche. Anzi in alcuni paesi europei ed in alcune regioni italiane si sta già tematizzando una exit strategy dall’incenerimento. È dunque un “inspiegabile” incaponimento voler scimmiottare 20 anni dopo errori commessi altrove, quando oggi abbiamo piena contezza della praticabilità di percorsi indirizzati alla riduzione e riciclo, i cui esempi non mancano neanche in Sicilia. E se le medie regionali nascondono le discrepanze tra situazioni virtuose e non, ci si deve domandare perché i comuni limitrofi a quelli virtuosi non possono mutuare le stesse pratiche, anziché ragionare sulla inadempienza di quelli non virtuosi
· L’Emilia Romagna ha recentemente approvato una legge regionale che prevede incentivi alla riduzione dei rifiuti e dei RUR, introducendo quale parametro chiave non la percentuale di RD, ma i kilogrammi di rifiuti per abitante l’anno conferiti in discarica o inceneriti. Procedendo su questa strada la quantità di rifiuti da smaltire in poco tempo sarà marginale, come per esempio nel trevigiano (Consorzio Contarina). La qualcosa “affama” gli inceneritori. Infatti in alcuni casi eclatanti (Torino, Parma) i costi di gestione superano gli introiti, per carenza di combustibile. Pertanto col diffondersi di pratiche virtuose, diciamo tempo una decina d’anni a voler credere al Pacchetto sull’economia circolare, gli inceneritori non saranno economicamente vantaggiosi. Ma vale davvero la pena di spendere miliardi di euro se questi impianti fra qualche anno chiuderanno? Il buon senso direbbe di no.
Infine
vogliamo dire che la strategia rifiuti zero, che Zero Waste Europe, Zero Waste
Italy, Zero Waste Sicilia e tante altre associazioni propugnano, è basata su questo
assunto di Paul Connett: “Un bene che dopo la fase del consumo va in discarica
o incenerito, semplicemente non doveva essere prodotto”. Questo fa capire che
le nostre battaglie siano le più lontane dal voler favorire le discariche. Ed è
per questo che riteniamo la falsa affermazione sui comitati anti-inceneritori
del prof. Randazzo infamante ed inaccettabile. Al contrario, chi propugna
l’incenerimento si schiera a favore delle multiutilities, e vuole favorire la
trasformazione della risorsa pubblica rifiuti nel lucro di potenti speculatori. Diceva
Gandhi: “Dapprima ci ignorano. Poi ci deridono. Poi ancora ci combattono. Alla
fine vinciamo”. Ringraziamo il prof. Randazzo di avere iniziato la fase 3.
Beniamino Ginatempo
Fisico,
pres. di Zero Waste Sicilia,
membro dei comitati anti-inceneritore del Mela
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